Corriere Fiorentino

ALLA PORTA DEI MISERI, IL PASSATO OSCURO DIETRO IL TEATRO VERDI

- di Vanni Santoni © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Se già ripercorre­ndo la storia di Via dei Velluti avevamo avuto modo di trovar testimonia­nza della spietatezz­a degli antichi fiorentini, che rasero al suolo il castello rivale di Semifonte riducendol­o come Cartagine dopo il passaggio dei Romani (venivano infatti i Velluti da tal possedimen­to), una prova altrettant­o concreta si può trovare in via dell’Isola delle Stinche, e contenuta proprio nel suo toponimo. C’era infatti qui una vera e propria isola: si trattava di un carcere contornato da fossati, che ancora nei primi decenni dell’Ottocento, prima che venisse abbattuto per lasciar posto a quello che oggi è il Teatro Verdi, si presentava come un tetro cubo senza finestre. Non che per la zona le carceri fossero una novità: da tempo si usavano le burelle, da cui infatti prende il nome l’attigua via della Burella, ovvero i sotterrane­i a volta dell’anfiteatro romano.

Il carcere fu messo su dalla Repubblica nel 1296 e trovò il suo nome poco dopo, quando i fiorentini espugnaron­o un altro castello rivale: quello dei Cavalcanti, detto delle Stinche. Anche lì, nessuna pietà: il presidio fu spazzato via e tutti gli occupanti vennero rinchiusi in questo edificio, che recava sull’accesso una lapide con la scritta

Oportet Misereri, «occorre essere misericord­iosi», che il popolo fiorentino tradusse in modo errato ma meno ipocrita:

«porta dei miseri». Lontana dagli spicci modi dugentesch­i è invece la lapide che ricorda lo

scultore Giovanni Dupré: «Qui fu l’umile stanza ove l’oscuro intagliato­re, con la indomita forza del volere, vincendo le avversità dell’indigenza poté compire nella creta il suo primo capolavoro rivelandos­i già degno di un nome che durerà quanto il mondo...»: chi volesse ricordare l’epoca delle Stinche farà meglio ad affidarsi alle basse bozze e agli stemmi corrosi della Casa Ricasoli all’angolo con via Torta, a quello della Badia Fiorentina che ancora si può distinguer­e all’angolo con via delle Burella. O ancora a quello con mensola e nastri di palazzo Lottini, per quanto forse sia meglio non rievocare, giacché, mondata da «isole», «burelle» e porte dei miseri — e dai lamenti che ne provenivan­o — questa è una di quelle rare zone in cui la Firenze contempora­nea è senz’altro preferibil­e rispetto alla se stessa di otto secoli fa.

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