Signorelli fino alla fine del mondo
L’artista di Cortona insegnò ai pittori del futuro a dipingere le persone nude e fu un maestro nell’arte del vivere In soli tre anni fece nel Duomo di Orvieto (dove si ritrasse come un diavolo) quel che nessuno aveva mai fatto
È arrivato il momento di parlare di Luca Signorelli, che in Italia divenne famoso come nessun altro, insegnò ai pittori del futuro a dipingere le persone nude e fu un maestro nell’arte di vivere. Ci sono uomini rovinati dall’invidia e dal risentimento, che soffrono come se il mondo gli dovesse sempre qualcosa. Luca invece sapeva sopportare i dispiaceri e accogliere le gioie con grande serenità. «Come fai?» gli chiesero. «Essere vivi non è un diritto» rispose. Nato a Cortona, si trasferì ad Arezzo da suo zio Lazzaro Vasari, bisnonno di Giorgio e amico di Piero della Francesca.
Divenne discepolo di Piero e passò la giovinezza ad osservarlo. Piero si sentiva a disagio, per questa attenzione spasmodica, ma ne era anche felice. Presto le opere di Luca furono indistinguibili da quelle del maestro, e ci sono quadri di Piero che potrebbero recare l’impronta segreta di Luca. Il maestro ha pur diritto di riposarsi ogni tanto! Però, con tutto l’amore, il ragazzo soffriva l’assorta immobilità delle immagini di Piero. «Cosa avranno da stare assorti» pensava. Fosche nubi si addensavano sul mondo. Luca sentiva come un brulichio dell’immaginazione che presto lo portò altrove, attirato dal richiamo delle folle urlanti che non aveva ancora dipinto. Pitturò mezza Toscana. A Volterra fece una Circoncisione del Signore che meravigliava chiunque fosse capace di intendere. Poi il Bambino si sciupò per l’umidità e fu rifatto dal Sodoma, molto meno bello. Questa mania dei restauri! A volte sarebbe meglio tenerci le cose fatte dagli uomini eccezionali in stato di grazia, anche se un po’ sciupate, piuttosto che farle ritoccare da chi non è all’altezza. Ma voi preferite le opere rifatte, e allora tenetevele! Poi andò a Roma, per lavorare alla Cappella Sistina insieme a Bartolomeo della Gatta. Entrambi chiamati dal Perugino. C’erano già diversi artisti al lavoro, alcuni si prendevano molto sul serio, come facessero chissà cosa. Luca ne rideva di nascosto e contagiava Bartolomeo. In particolare Cosimo Rosselli li faceva morire. Luca era esuberante, veloce, Bartolomeo più riflessivo. Si combinavano benissimo. Lavorarono soprattutto alle ultime Storie di Mosè. Uno iniziava una figura e l’altro la finiva. Qui Luca capì quanto gli piacesse mettere in scena più personaggi contemporaneamente e conobbe i volti espressivi immaginati da Bartolomeo, che non lo lasciarono più: certi vecchi apostoli intensi e sdentati divennero parte di lui e, negli anni, ripropose le loro fattezze sotto altre identità. Poi andò a Firenze per vedere tutti quei maestri di cui la città era piena e lavorò per i Medici. Regalò a Lorenzo due opere (dice Vasari), ma il Magnifico non volle mai essere vinto in liberalità da nessuno e gli dimostrò la sua magnificenza. Una di queste due opere era la Scuola di Pan, poi distrutta a Berlino nel 1945. I Medici ebbero dei problemi e lui ripartì. Nel Duomo di Orvieto, nel 1499, si dedicò alla Cappella di San Brizio, lasciata incompleta da Beato Angelico. Le immagini del suo predecessore erano così serene che gli mettevano angoscia. Aveva bisogno di qualcosa di tragico, per raggiungere la felicità. In soli tre anni fece quello che non aveva mai fatto nessuno: tutte le storie della fine del mondo. Storia dell’Anticristo, Giudizio Universale, Resurrezione della carne, Inferno, Paradiso. Era quello un periodo in cui la paura e la fine del mondo erano tornate di gran moda e Luca con invenzione bellissima, bizzarra e capricciosa dipinse angeli, demoni, terremoti, rovine, i miracoli dell’Anticristo, che ha le fattezze di Gesù, ma con una fiamma nera che traspare dai suoi tratti, mentre ascolta i suggerimenti del Demonio. C’è un suo autoritratto realistico e un altro, pare, in forma di diavolo che stringe una donna (perché Luca aveva avuto qualcosa da ridere con la donna raffigurata, si dice). Mostrò la grande arte che aveva raggiunto nel dipingere i corpi nudi in prospettiva, usando i più strani colori per la loro pelle, e raffigurò con belle forme il terrore di quei giorni. Credeva fermamente in Dante Alighieri. «L’importante è esagerare» canticchiava sulle impalcature. Il clima apocalittico da lui stesso evocato lo segnò. Più dipingeva cose terribili più diventava elegante e amorevole. Vestiva bene, mangiava meglio. Sembrava più un signore e un gentiluomo onorato che un pittore. Cercava di fare del bene alle persone che incontrava. «Se davvero arriva l’apocalisse, meglio non perdere tempo a soffrire» diceva.
Quando Michelangelo vide quello che Luca aveva fatto ad Orvieto disse: «Ecco. Questo!». E così quelle scene del Giorno del Giudizio e dintorni furono gentilmente prese e usate per il Giudizio universale della Cappella Sistina. Con Michelangelo era così intimo che non gli volle rendere dei soldi che Michelangelo gli aveva prestato e così vi fu un processo. A Cortona gli morì un figlio, che era bellissimo e che lui amava molto. Luca chiese che lo spogliassero e lo dipinse, senza piangere, con grande forza d’animo. Quello stesso anno morì Bartolomeo della Gatta e Luca vide una grande frattura nella sua vita e si sentì dimezzato. Mentre invecchiava, arrivarono pittori più giovani che volevano andare avanti ma lui lavorando appartato dimostrò che non era rimasto indietro. Una volta, da Cortona andò ad Arezzo per seguire la sistemazione di una sua opera e rivedere gli amici. Alloggiò in casa Vasari e incontrò Giorgio Vasari di otto anni. E Giorgio molti anni dopo si sarebbe ricordato di quel giorno in cui in incontrò quel vecchio grazioso e pulito. Dato che il bambino non era un fenomeno nella materie letterarie Luca si rivolse al padre e disse: «Lascia che Giorgino impari a disegnare, vedrai che male non gli fa». E al bambino disse: «Impara parentino». In quel periodo a Giorgino usciva sempre il sangue dal naso, a volte ne rimaneva tramortito, e allora Luca, con infinita amorevolezza, gli dette un diaspro da mettere al collo, come cura.
Se poi questo ricordo fosse falso non cambierebbe nulla, i falsi ricordi contengono molte verità, penso che Freud sarebbe d’accordo. Infatti Freud andò a Orvieto vide le storie della fine del mondo e rimase impressionato come solo lui sapeva farsi impressionare, tanto che poi le sognò. Tempo dopo non si ricordava il nome del pittore e questo fatto gli sembrò così clamoroso che per spiegarlo inventò la teoria psicanalitica. Si può dunque dire che Signorelli sia alla base della psicanalisi. Morì lavorando: cadde da un’impalcatura a ottantadue anni. Visse splendidamente.
16. Continua. Le precedenti puntate: 13-27/11; e 11-31/12 2016; 22/1, 5-26/2; 12-26/3; 30/4, 28/5,11/6, 9/7, 8/10,19/11
I suoi affreschi ispirarono le creazioni di Michelangelo per la Cappella Sistina