TERMOVALORIZZATORE E DISCARICHE: NO AI BLUFF
Idati parlano chiaro: il riciclo dei rifiuti è possibile fino a un certo punto e offre rendimenti decrescenti. L’esperienza di tutti i Paesi europei che hanno pressoché eliminato il ricorso alla discarica prevede che circa metà dei rifiuti sia riciclata e l’altra metà destinata al recupero energetico.
Localmente questo dato può pendere più da una parte o dall’altra, ma nella sostanza non cambia. Svezia, Danimarca, Olanda, Germania, Svizzera, Austria mandano in discarica meno di 10 chili l’anno pro-capite, e inceneriscono, direttamente o indirettamente, circa il 50% dei rifiuti. L’inceneritore è un impianto industriale che comporta un certo impatto sull’ambiente. Tuttavia, tale impatto non va drammatizzato oltre misura. Con le migliori tecnologie disponibili, un impianto ben progettato non incide in maniera apprezzabile sulla qualità dell’aria di un territorio urbanizzato, nel quale sono già presenti moltissime altre fonti di emissione. Se si contabilizzano sia le emissioni dell’impianto sia quelle evitate (produzione termoelettrica, riscaldamento domestico etc) il bilancio netto risulta addirittura positivo. Gli studi epidemiologici realizzati in territori interessati da impianti moderni e rispettosi dei severissimi limiti ad essi imposti non evidenziano alcun impatto significativo.
In ogni caso, nel valutare una soluzione tecnologica non ci si può limitare a vedere se e quanto fa male, ma occorre semmai confrontare il male che eventualmente fa con quello delle migliori alternative a disposizione. L’alternativa a incenerire i rifiuti non è riciclarli, ma mandarli in discarica. Dove lo spazio per realizzare discariche abbonda, l’incenerimento può non essere la priorità. Dove invece scarseggia, come in Italia e in Europa, non è pensabile di gestire adeguatamente i rifiuti che produciamo senza ricorrere per una certa frazione all’incenerimento. Non esiste al mondo, e non esisterà ancora per decenni, alcun Paese in grado di riciclare tutti i rifiuti prodotti. Dire no all’inceneritore è legittimo, a patto che chi lo fa dica dove intende collocare il numero equivalente di discariche. Come mostrano i dati Eurostat, i Paesi che inceneriscono di più sono anche quelli con i tassi di riciclo più elevati.
È quindi del tutto falso sostenere che si possa fare a meno degli impianti producendo meno rifiuti o riciclandone di più. Prevenire serve, riciclare di più serve, e occorre un impegno formidabile in questa direzione. Ma non basta. Sempre che si ritenga desiderabile ridurre, e possibilmente eliminare, il flusso di rifiuti che ancora oggi è destinato alla discarica: in Italia, nonostante i grandi progressi soprattutto degli ultimi anni, siamo ancora al 26%, circa 130 chili l’anno pro-capite. Oggi in Europa è in discussione una proposta di direttiva, assai ambiziosa, che punta a prevenire con più efficacia la produzione di rifiuti e a incrementare sensibilmente la frazione riciclata, portandola al 70%, e riducendo fin quasi ad azzerarli i flussi destinati alla discarica.
In Toscana, ipotizzando pure che la proposta di direttiva vada pienamente a regime (e che i volumi prodotti non cambino), si tratterebbe di gestire poco meno di un milione di tonnellate l’anno, con una capacità di incenerimento che attualmente ne copre meno di un terzo, con la prospettiva che alcuni impianti (Livorno, Montale e forse Pisa) siano in breve destinati a chiudere. Si dirà: ed esportarli verso i Paesi che hanno dotazioni migliori? In fondo, lo fanno già Napoli e in parte Roma. Siamo o non siamo in un mercato unico? Gli olandesi non ci hanno forse fregato la sede dell’Agenzia europea per il farmaco? Che si brucino anche un po’ della nostra immondizia. A loro gli inceneritori e le relative emissioni, a noi le vigne del Brunello e gli olivi che fanno l’olio novo. In sé la cosa non è peregrina, salvo che per i costi di trasporto, compensati però dalle basse tariffe offerte da impianti che attualmente sono a corto di «combustibile». Ma un simile scenario non può durare a lungo: dovunque la discarica inizi a scarseggiare ci sarà la pressione a fare altrettanto. Se anche qua e là ci può essere un impianto momentaneamente sottoutilizzato, il dato macro a livello nazionale e continentale evidenzia invece una strutturale e preoccupante scarsità. E, attenzione. Le vicende di Napoli, Roma (e quelle di Milano degli anni 90, di cui non si ricorda nessuno) ci ammoniscono che la crisi della discarica arriva di colpo, non appena chiude un impianto e non si riesce ad aprirne un altro. In quel momento, e nel giro di pochi giorni, i prezzi saliranno alle stelle, cumuli maleodoranti si riverseranno nelle strade e una nuova emergenza annunciata riempirà le prime pagine dei giornali. Da friulano emigrato a Firenze, e non ancora molto pratico della lingua, avrei una domanda per i miei nuovi concittadini: com’è che si dice «munnezza», in fiorentino? Con la «e» stretta o con la «e» larga?