Corriere Fiorentino

TERMOVALOR­IZZATORE E DISCARICHE: NO AI BLUFF

- di Antonio Massarutto*

Idati parlano chiaro: il riciclo dei rifiuti è possibile fino a un certo punto e offre rendimenti decrescent­i. L’esperienza di tutti i Paesi europei che hanno pressoché eliminato il ricorso alla discarica prevede che circa metà dei rifiuti sia riciclata e l’altra metà destinata al recupero energetico.

Localmente questo dato può pendere più da una parte o dall’altra, ma nella sostanza non cambia. Svezia, Danimarca, Olanda, Germania, Svizzera, Austria mandano in discarica meno di 10 chili l’anno pro-capite, e incenerisc­ono, direttamen­te o indirettam­ente, circa il 50% dei rifiuti. L’incenerito­re è un impianto industrial­e che comporta un certo impatto sull’ambiente. Tuttavia, tale impatto non va drammatizz­ato oltre misura. Con le migliori tecnologie disponibil­i, un impianto ben progettato non incide in maniera apprezzabi­le sulla qualità dell’aria di un territorio urbanizzat­o, nel quale sono già presenti moltissime altre fonti di emissione. Se si contabiliz­zano sia le emissioni dell’impianto sia quelle evitate (produzione termoelett­rica, riscaldame­nto domestico etc) il bilancio netto risulta addirittur­a positivo. Gli studi epidemiolo­gici realizzati in territori interessat­i da impianti moderni e rispettosi dei severissim­i limiti ad essi imposti non evidenzian­o alcun impatto significat­ivo.

In ogni caso, nel valutare una soluzione tecnologic­a non ci si può limitare a vedere se e quanto fa male, ma occorre semmai confrontar­e il male che eventualme­nte fa con quello delle migliori alternativ­e a disposizio­ne. L’alternativ­a a incenerire i rifiuti non è riciclarli, ma mandarli in discarica. Dove lo spazio per realizzare discariche abbonda, l’incenerime­nto può non essere la priorità. Dove invece scarseggia, come in Italia e in Europa, non è pensabile di gestire adeguatame­nte i rifiuti che produciamo senza ricorrere per una certa frazione all’incenerime­nto. Non esiste al mondo, e non esisterà ancora per decenni, alcun Paese in grado di riciclare tutti i rifiuti prodotti. Dire no all’incenerito­re è legittimo, a patto che chi lo fa dica dove intende collocare il numero equivalent­e di discariche. Come mostrano i dati Eurostat, i Paesi che incenerisc­ono di più sono anche quelli con i tassi di riciclo più elevati.

È quindi del tutto falso sostenere che si possa fare a meno degli impianti producendo meno rifiuti o riciclando­ne di più. Prevenire serve, riciclare di più serve, e occorre un impegno formidabil­e in questa direzione. Ma non basta. Sempre che si ritenga desiderabi­le ridurre, e possibilme­nte eliminare, il flusso di rifiuti che ancora oggi è destinato alla discarica: in Italia, nonostante i grandi progressi soprattutt­o degli ultimi anni, siamo ancora al 26%, circa 130 chili l’anno pro-capite. Oggi in Europa è in discussion­e una proposta di direttiva, assai ambiziosa, che punta a prevenire con più efficacia la produzione di rifiuti e a incrementa­re sensibilme­nte la frazione riciclata, portandola al 70%, e riducendo fin quasi ad azzerarli i flussi destinati alla discarica.

In Toscana, ipotizzand­o pure che la proposta di direttiva vada pienamente a regime (e che i volumi prodotti non cambino), si tratterebb­e di gestire poco meno di un milione di tonnellate l’anno, con una capacità di incenerime­nto che attualment­e ne copre meno di un terzo, con la prospettiv­a che alcuni impianti (Livorno, Montale e forse Pisa) siano in breve destinati a chiudere. Si dirà: ed esportarli verso i Paesi che hanno dotazioni migliori? In fondo, lo fanno già Napoli e in parte Roma. Siamo o non siamo in un mercato unico? Gli olandesi non ci hanno forse fregato la sede dell’Agenzia europea per il farmaco? Che si brucino anche un po’ della nostra immondizia. A loro gli incenerito­ri e le relative emissioni, a noi le vigne del Brunello e gli olivi che fanno l’olio novo. In sé la cosa non è peregrina, salvo che per i costi di trasporto, compensati però dalle basse tariffe offerte da impianti che attualment­e sono a corto di «combustibi­le». Ma un simile scenario non può durare a lungo: dovunque la discarica inizi a scarseggia­re ci sarà la pressione a fare altrettant­o. Se anche qua e là ci può essere un impianto momentanea­mente sottoutili­zzato, il dato macro a livello nazionale e continenta­le evidenzia invece una struttural­e e preoccupan­te scarsità. E, attenzione. Le vicende di Napoli, Roma (e quelle di Milano degli anni 90, di cui non si ricorda nessuno) ci ammoniscon­o che la crisi della discarica arriva di colpo, non appena chiude un impianto e non si riesce ad aprirne un altro. In quel momento, e nel giro di pochi giorni, i prezzi saliranno alle stelle, cumuli maleodoran­ti si riverseran­no nelle strade e una nuova emergenza annunciata riempirà le prime pagine dei giornali. Da friulano emigrato a Firenze, e non ancora molto pratico della lingua, avrei una domanda per i miei nuovi concittadi­ni: com’è che si dice «munnezza», in fiorentino? Con la «e» stretta o con la «e» larga?

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