Io ostaggio della Sla. E della burocrazia
La storia di Ibrahimaj: «Chiuso in casa e senza ascensore: vorrei solamente uscire»
Intrappolato da un muro di ottanta gradini. E dai muri della burocrazia. Ostacoli insormontabili per chi, come Ibrahimaj Banush, 35 anni, è fermo nel suo letto per colpa della sclerosi laterale amiotrofica, la Sla. Dal chiuso della sua camera tripla di via Sant’Antonino, Ibrahimaj sogna una casa con un ascensore, con un bagno adeguato, con un’intimità che gli possa permettere di condividere la malattia con la moglie e i figli, ora in Kosovo.
Intrappolato da un muro di ottanta gradini. E dai muri della burocrazia. Ostacoli insormontabili per chi, come Ibrahimaj Banush, 35 anni, è fermo nel suo letto per colpa della sclerosi laterale amiotrofica, la Sla.
«Mi sento abbandonato, trattato come un animale. Per me è diventato impossibile anche poter fare una passeggiata fuori». Dal chiuso della sua camera tripla di via Sant’Antonino, Ibrahimaj sogna una casa con un ascensore, con un bagno adeguato, con un’intimità che gli possa permettere di condividere la malattia con la moglie e i tre figli, ora in Kosovo. «La Sla galoppa, la Sla non aspetta i tempi dei bandi», spiega la presidente fiorentina dell’associazione Aisla, Barbara Gonella, che si è presa a cuore il caso. Ibrahimaj è arrivato in Italia nel 2004, è immigrato regolare, ha lavorato in pizzerie, ristoranti, prima di diventare barista a tempo pieno. «Il 15 luglio 2016 ho cominciato a non sentire più la gamba e la mano sinistra». La malattia galoppa, il 25 novembre 2016 il giovane arriva in ospedale ormai incapace di muoversi. La sentenza è una mazzata. Da allora vive a letto, esce di casa solo per andare in ospedale, con due persone che devono sollevare la carrozzina giù e su per ottanta gradini.
Nella sua stanza, dall’affitto più alto rispetto ai prezzi di mercato, con tre letti, non c’è neppure lo spazio per una poltrona basculante. E il piccolo bagno è condiviso con tutta l’ala del palazzo, dove vive almeno un’altra decina di persone. A dargli una mano c’è solo suo fratello. «In pratica, per molti mesi non ha avuto alcun aiuto dai servizi sociali. La dichiarazione di invalidità gli è arrivata solo il primo agosto scorso», spiega Gonella. Da meno di un mese Ibrahimaj ha finalmente ottenuto un contributo una tantum dai servizi sociali e soprattutto (grazie a Aisla) l’assegno di cura regionale che gli permette di pagare il fratello: «Per stare dietro a me aveva dovuto smettere di lavorare. Non sapevamo come fare. Hanno aspettato che peggiorassi fino a questo punto», dice Ibrahimaj, che è a uno stadio così avanzato della malattia che ormai fatica anche a deglutire. Ma la priorità ora è una casa per poter rivedere la luce del sole: «Non ha diritto a una casa popolare, e poi i tempi sarebbero troppo lunghi — spiega Barbara Gonella — Per questo abbiamo tentato col bando delle case per gli indigenti».
Ma per accedere ci vogliono cinque anni di residenza a Firenze: «Sono ordinato — dice Ibrahimaj — Sto in questa casa dal 2009 e ho tutte le ricevute dell’affitto. Ma dopo che ho consegnato la documentazione ai servizi sociali, mi han detto che la mia richiesta era stata respinta e ogni volta che provo a telefonare mi riattaccano. Se ne fregano». Il giovane lancia un appello alle istituzioni, e anche a chi ha una casa da affittare che sia accessibile per un disabile e a prezzi ragionevoli: «Non ho molto tempo, la casa non mi servirà per vent’anni — dice — Mi piacerebbe poter tornare a fare una giro fuori, mi piacerebbe che andare a fare fisioterapia o una visita in ospedale non fosse un’impresa. Mi piacerebbe avere lo spazio per essere accudito da mia moglie, per avere i miei figli qui».