«È inopportuna, esistono già le leggi dello Stato»
«La storia del ‘patentino antifascista’ mi turba. Non è il cittadino che deve dimostrare di essere antifascista ma il Comune che deve dimostrare l’eventuale fascismo di un soggetto pubblico o privato che sia così da condannarlo ed escluderlo». Sergio Givone, filosofo, docente universitario ed ex assessore alla cultura ai tempi di Renzi sindaco, proprio non riesce a spiegarsi i motivi che hanno indotto Pd e Sinistra Italiana (insieme al Movimento 5 Stelle, Alternativa Libera e Firenze Viva) a votare quella delibera che obbliga associazioni e movimenti intenzionati a ottenere uno spazio comunale, il patrocinio per una manifestazione o un contributo, a sottoscrivere un’autocertificazione antifascista e antirazzista.
Professore Givone perché si sente turbato?
«Perché non riesco a spiegarmi il motivo per cui io debba dimostrare di essere buono? È lo Stato, il giudice a dover dimostrare che sono cattivo, che ho commesso un delitto. Per cui chiedere una sorta di certificato di buona condotta paradossalmente ha un tratto fascista».
Quindi secondo lei l’atto del Consiglio comunale di Firenze rischia di produrre un risultato opposto rispetto a quello per cui è stato votato?
«È all’interno di uno Stato etico che una richiesta del genere ha senso. E infatti in un regime come quello fascista si chiedeva al cittadino di dimostrare il proprio attaccamento al partito, alla nazione e così via. Ma in una democrazia le cose non dovrebbero andare così ma al contrario. Ovvero: se lo Stato ha ragione di ritenere che qualcuno trasgredisca la legge in materia di apologia è giusto che intervenga bloccando sul nascere certi rigurgiti».
Quindi basta la Costituzione o le varie leggi in materia? In particolare quelle che portano il nome di Scelba e di Mancino…
«Certo. Se l’autorità giudiziaria ritiene che un cittadino sia un fascista, un razzista, un nazista o un omofobo, allora lo condanni e lo escluda da tutte le concessioni. È così che si dovrebbe agire e non chiedendo un patentino. Ma ho anche un dubbio».
Quale?
«Che questo atto possa essere incostituzionale. La Costituzione proibisce di fare propaganda al fascismo e anche di riformare un partito che abbia quegli ideali; ma non so se un giudice possa andare da un cittadino e metterlo in stato d’accusa per la sua professione di fede fascista in privato, a casa sua o nel suo cuore. Non si può condannare una persona per il suo ‘essere’ o sentirsi fascista… e ci mancherebbe».
Il Consiglio comunale ha anche deciso di inserire due nuovi articoli all’interno dello Statuto della città di Firenze in cui vengono rimarcati i valori della Resistenza. Lei cosa ne pensa?
«Non so cosa dire. Mi sembra che sul Gonfalone di Firenze sia appuntata una medaglia d’oro che ad ogni manifestazione viene giustamente esibita con orgoglio e che ci ricorda il carattere antifascista di questa città. Dunque non capisco perché abbiano voluto rimarcare
un fatto pacifico, acclarato, lapalissiano».
Professor Givone, ma se lei fosse stato ancora assessore in aula avrebbe votato la delibera del centrosinistra?
«No. E fossi stato in Sinistra Italiana o nel Pd non l’avrei neanche presentata».
Perché?
«Perché non mi sembra opportuna. Intendiamoci: non voglio in alcun senso ammorbidire il mio giudizio sul fascismo, che è stato uno dei periodi più bui e violenti del nostro Paese. E sia chiaro che del fascismo io penso tutto il male possibile. Il mio è un ragionamento e non vuole essere una tesi o una convinzione. Voglio discutere ma mi sembra molto discutibile questa decisione del Consiglio comunale di Firenze».
Mi turba l’idea che debba essere il cittadino a dover dimostrare di essere buono o cattivo: in una democrazia non ha senso