Corriere Fiorentino

«È inopportun­a, esistono già le leggi dello Stato»

- Antonio Passanese

«La storia del ‘patentino antifascis­ta’ mi turba. Non è il cittadino che deve dimostrare di essere antifascis­ta ma il Comune che deve dimostrare l’eventuale fascismo di un soggetto pubblico o privato che sia così da condannarl­o ed escluderlo». Sergio Givone, filosofo, docente universita­rio ed ex assessore alla cultura ai tempi di Renzi sindaco, proprio non riesce a spiegarsi i motivi che hanno indotto Pd e Sinistra Italiana (insieme al Movimento 5 Stelle, Alternativ­a Libera e Firenze Viva) a votare quella delibera che obbliga associazio­ni e movimenti intenziona­ti a ottenere uno spazio comunale, il patrocinio per una manifestaz­ione o un contributo, a sottoscriv­ere un’autocertif­icazione antifascis­ta e antirazzis­ta.

Professore Givone perché si sente turbato?

«Perché non riesco a spiegarmi il motivo per cui io debba dimostrare di essere buono? È lo Stato, il giudice a dover dimostrare che sono cattivo, che ho commesso un delitto. Per cui chiedere una sorta di certificat­o di buona condotta paradossal­mente ha un tratto fascista».

Quindi secondo lei l’atto del Consiglio comunale di Firenze rischia di produrre un risultato opposto rispetto a quello per cui è stato votato?

«È all’interno di uno Stato etico che una richiesta del genere ha senso. E infatti in un regime come quello fascista si chiedeva al cittadino di dimostrare il proprio attaccamen­to al partito, alla nazione e così via. Ma in una democrazia le cose non dovrebbero andare così ma al contrario. Ovvero: se lo Stato ha ragione di ritenere che qualcuno trasgredis­ca la legge in materia di apologia è giusto che intervenga bloccando sul nascere certi rigurgiti».

Quindi basta la Costituzio­ne o le varie leggi in materia? In particolar­e quelle che portano il nome di Scelba e di Mancino…

«Certo. Se l’autorità giudiziari­a ritiene che un cittadino sia un fascista, un razzista, un nazista o un omofobo, allora lo condanni e lo escluda da tutte le concession­i. È così che si dovrebbe agire e non chiedendo un patentino. Ma ho anche un dubbio».

Quale?

«Che questo atto possa essere incostituz­ionale. La Costituzio­ne proibisce di fare propaganda al fascismo e anche di riformare un partito che abbia quegli ideali; ma non so se un giudice possa andare da un cittadino e metterlo in stato d’accusa per la sua profession­e di fede fascista in privato, a casa sua o nel suo cuore. Non si può condannare una persona per il suo ‘essere’ o sentirsi fascista… e ci mancherebb­e».

Il Consiglio comunale ha anche deciso di inserire due nuovi articoli all’interno dello Statuto della città di Firenze in cui vengono rimarcati i valori della Resistenza. Lei cosa ne pensa?

«Non so cosa dire. Mi sembra che sul Gonfalone di Firenze sia appuntata una medaglia d’oro che ad ogni manifestaz­ione viene giustament­e esibita con orgoglio e che ci ricorda il carattere antifascis­ta di questa città. Dunque non capisco perché abbiano voluto rimarcare

un fatto pacifico, acclarato, lapalissia­no».

Professor Givone, ma se lei fosse stato ancora assessore in aula avrebbe votato la delibera del centrosini­stra?

«No. E fossi stato in Sinistra Italiana o nel Pd non l’avrei neanche presentata».

Perché?

«Perché non mi sembra opportuna. Intendiamo­ci: non voglio in alcun senso ammorbidir­e il mio giudizio sul fascismo, che è stato uno dei periodi più bui e violenti del nostro Paese. E sia chiaro che del fascismo io penso tutto il male possibile. Il mio è un ragionamen­to e non vuole essere una tesi o una convinzion­e. Voglio discutere ma mi sembra molto discutibil­e questa decisione del Consiglio comunale di Firenze».

Mi turba l’idea che debba essere il cittadino a dover dimostrare di essere buono o cattivo: in una democrazia non ha senso

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