«Decisione politica necessaria, soprattutto ora»
Da presidente dell’Istituto della Resistenza, Simone Neri Serneri — docente di Storia contemporanea al dipartimento di Scienze Politiche dell’università di Firenze, studioso del Ventennio e del movimento operaio — plaude all’iniziativa antifascista del Consiglio comunale e la definisce «un atto dovuto e non più rinviabile». Anzi, prima che la maggioranza di Palazzo Vecchio licenziasse i due nuovi articoli dello Statuto, «mi venne chiesto anche un parere sulla primissima bozza».
Professore, c’è chi esprime qualche perplessità sul «patentino antifascista». Lei invece sembra convinto della bontà dell’iniziativa...
«Assolutamente sì. Si tratta di un atto politico, di un’iniziativa più generale di pressione sull’opinione pubblica e di rispetto delle leggi vigenti. In fondo si chiede ad un’associazione, ad un movimento o a un gruppo di confermare ciò che è scritto nella nostra Costituzione. La cosa non mi sembra assurda anche perché credo non violi alcuna norma né tantomeno i diritti personali. Dirò di più, in quell’autocertificazione non ci vedo alcuna contraddizione».
Insomma, chiedere firmare un’autocertificazione antifascista serve ad avere un chiarimento politico?
«La Somma Carta riconosce libertà ma anche diritti e doveri. Non è che possiamo prendere solo quello che ci fa comodo. Ricordo che storicamente i regimi autoritari, nella maggioranza dei casi, sono passati spesso attraverso procedure democratiche che li hanno “legittimati”, salvo poi smantellare quelle stesse procedure. È ciò che è accaduto in Italia, in Germania e in tanti altri Paesi nel secolo scorso» .
Dunque, nella decisione dei consiglieri comunali di Firenze lei ci si ritrova pienamente?
«Senza alcun dubbio. Bisogna però che ci siano delle procedure lineari e chiare. Perché non possiamo affidarci alla soggettività del funzionario di turno o all’interpretazione di chicchessia. A chiarire ogni dubbio devono essere i regolamenti».
Firenze e i fiorentini avevano proprio bisogno di un patentino antifascista?
«All’interno delle proprie mura ognuno può fare ciò che vuole, ma in uno spazio pubblico non deve essere così. Quello che lei chiama patentino e che altri invece definiscono autocertificazione è necessario soprattutto in un momento, come quello attuale, in cui ci sono movimenti e partiti molto opachi. È questa la finalità di quell’atto. In fondo cosa si chiede? Di confermare ciò che già dice la Costituzione. Io non la vedo in modo negativo ma costruttivo. Soprattutto perché oggi la destra estrema si mimetizza e veicola informazioni assolutamente incostituzionali».
Ma questo non dovrebbero deciderlo i giudici e non il funzionario o una commissione del Comune?
«Non si può sempre delegare ogni cosa alle forze dell’ordine o all’intervento ultimo della magistratura. L’atto approvato lunedì nel Salone de’ Dugento fa parte della dialettica politica ed è su questo terreno che bisogna confrontarsi. Ripeto: credo che ci siano delle ambiguità forti nei confronti del dettato costituzionale. Vorrei sentir dire a tutti che ci si riconosce nella Costituzione, senza se e senza ma».
Però l’autocertificazione potrebbe sembrare una forzatura dal punto di vista dei rapporti politici...
«Quando si dice ‘prima agli italiani’ per le case popolari, per esempio, si va nettamente contro la Costituzione: dove si trova la definizione di italiani? Si legittimano comportamenti che nulla hanno a che vedere con la Carta che, sottolineo, parla di “cittadini”. Oggi nel nostro Paese c’è un 10% di questi cittadini, mi riferisco agli stranieri, che paga le tasse. Eppure noi li teniamo in una specie di limbo e litighiamo per non accordargli lo ius soli. Questo, secondo me, è un comportamento fascista».
Non si può delegare sempre ai giudici o alle forze dell’ordine All’interno delle proprie mura ognuno può fare ciò che vuole, fuori no