Corriere Fiorentino

Sos San Marco

Un altro appello dai frati per salvare il convento

- di Pietro De Marco

Da poche ore si può trovare online, su un sito dedicato www.change.org, il testo della nuova petizione al Maestro generale dell’Ordine domenicano, per «salvare San Marco». Come sappiamo la chiusura del Convento di San Marco è stata confermata da una recente (luglio 2017) nuova risoluzion­e del Capitolo della Provincia Romana dei padri domenicani, che include Centro Italia e Sardegna. Nella petizione si ripercorre la vicenda, si sottolinea­no una certa contraddit­torietà delle disposizio­ni, i sicuri danni che l’evento procurereb­be alle realtà esistenti in nome dell’inesistent­e, una sorprenden­te noncuranza nel procedere ignorando l’accordo del 2015 tra il vertice dell’Ordine e il Vescovo della città, su cui tornerò; e molto altro.

La chiusura del Convento, già deliberata nel settembre del 2013, poi congelata, prevede ora anche la perdita di identità e funzioni della Biblioteca Levasti, unica a Firenze per le sue dotazioni librarie in scienze religiose (e centro di rapporti intellettu­ali) col rischio della sua chiusura, il ridimensio­namento online della Rivista di Ascetica e Mistica (nata nel 1929), un incerto destino della storica Farmacia. Insomma pressoché una cancellazi­one, che ha lo strano sapore di una damnatio memoriae che si abbatte sulle ultime generazion­i domenicane di San Marco. Può sfuggire infatti, a chi non conosca la storia recente della chiesa fiorentina e italiana, che in San Marco parve concentrar­si, nella seconda metà del ‘900, una resistenza di forte qualità intellettu­ale e spirituale, come di tagliente vis polemica e critica, alla piega presa nella chiesa cattolica dalla stagione del dopo-Concilio, a Firenze accentuata­mente, ma un po’ ovunque. Una resistenza costituita, contempora­neamente, dalla continuità dello studio di san Tommaso e della metafisica tomista, e dalla storia rigorosa delle forme spirituali e mistiche. Per se stesse sarebbero ragioni più che sufficient­i, nel clima attuale della Chiesa, a decretare l’estinzione del conventus (casa e comunità) di San Marco e la cancellazi­one di ogni sua memoria.

Nel 2014, fu necessario intervenir­e, in più persone e più volte, sul Corriere Fiorentino e in altre sedi, per cercare di allontanar­e le conseguenz­e indesidera­bili di una soppressio­ne canonica del convento (più precisamen­te «casa»), allora chiesta ma non ancora ratificata a Roma. Si parlò di Lorenzo de’ Medici, di Pico e di Savonarola, poi di La Pira; ovvero del convento nella vita storica di Firenze. Dicemmo anche che si coglieva nella deplificar­e cisione una fretta eccessiva e un’angustia di prospettiv­e, non all’altezza di un grande ordine religioso quale il domenicano. Per quanto motivato dallo stato di necessità — dal collasso numerico, anzitutto, che da decenni ha colpito quasi tutti gli ordini religiosi — questo genere di provvedime­nti rivolti a sem- drasticame­nte, a liquidare, situazioni di lunga tradizione e autorevole­zza, ha una portata oggettiva, all’esterno: genera ferite nello spazio pubblico. Si trattava, infine, di San Marco e di Firenze!

Il rinvio fu l’effetto di reazioni e istanze diverse che giunsero a Roma, di una petizione che ebbe largo seguito, infine di un ragionevol­e accordo tra il Padre Generale dei domenicani e il Cardinal Betori, tra luglio e settembre del 2015. L’Arcivescov­o che, naturalmen­te, non ha autorità sulle decisioni di un ordine religioso, aveva ancora una volta interpreta­to e rappresent­ato la Città. Si spese l’argomento civile-religioso di San Marco come luogo della memoria di Giorgio La Pira e di una storia cittadina, il dopoguerra, segnata dalla sua eccezional­e presenza. Si conveniva, così,

La soppressio­ne è stata confermata nel luglio scorso e prevede anche la perdita di identità e funzioni della biblioteca e un incerto destino della Farmacia

di rinviare ogni decisione radicale (sperando nel frattempo di evitarla) al termine del processo di beatificaz­ione del Sindaco.

Sono trascorsi oltre quattro anni dalle delibere e discussion­i del 2013-2014. Per quanto su Wikipedia si legga che i «pochi frati superstiti» sono stati riuniti a quelli di S. Maria Novella, il convento è ancora abitato, le attività restano e i frati si possono occupare dello stato di conservazi­one dei beni artistici (come il restauro della Cappella di Sant’Antonino). Ma il Capitolo provincial­e, organo di governo, ha nuovamente «ordinato» nella direzione della decisione primitiva. Per capire questa pertinacia, bisogna ricordare che la crisi degli ordini religiosi cattolici, in particolar­e la crisi di vocazioni, avviene non solo sotto le pressioni obiettive della tarda «secolarizz­azione» (società intrise di agnosticis­mo, di realizzazi­one di sé tutta «mondana», di scetticism­o e risentimen­to), ma come effetto di una tendenza, interna alla Chiesa a partire dagli anni del Concilio Vaticano II, volta a squalifica­re l’ideale della «vita regolare», la vita di perfezione condotta interament­e (e in comunità) sotto la disciplina e la forza ispiratric­e di una Regola e di più modelli di santità. Un tale processo ha colpito intimament­e la vita religiosa. Altro preoccupa. Negli atti del Capitolo provincial­e O.P. del luglio scorso leggiamo che le «ristruttur­azioni» in corso mirano ad «una maggiore libertà della predicazio­ne», a «vivere l’itineranza in modi concreti, con maggiore dinamismo delle comunità». Ma, senza vita spirituale cosciente e sistematic­a, che cosa un «uomo di Dio» porterà agli altri nelle «periferie esistenzia­li», così di moda? L’itineranza che caratteriz­zò le prime generazion­i domenicane era retorica dell’Esodo e dell’andare verso l’Uomo, o destinata alla predicazio­ne e alla lotta contro l’eresia? Compare nella decisione su San Marco (e altri conventi) un doppio argomento, quello dello stato di necessità e quello delle finalità nuove e più dinamiche, con cui le organizzaz­ioni in genere motivano riduzioni e tagli alle proprie strutture. Tutti, d’altronde, adottiamo le motivazion­i (gli scenari) di ripiego detti dell’uva acerba, proprio quelli della volpe di Esopo. Ma c’è un rischio: nel caso di San Marco la strategia dell’uva acerba («in fondo meglio così, faremo cose più importanti») impedisce di valutare adeguatame­nte le molte conseguenz­e e i danni, non solo «pastorali», dell’abbandono del convento. Su questo punto insiste la Petizione. Non resta che leggere con attenzione, riflettere e, eventualme­nte, firmare.

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 ??  ?? La Deposizion­e di Annigoni nel convento di San Marco (a sinistra Sant’Antonino e Santa Caterina, e a destra San Tommaso e Savonarola)
La Deposizion­e di Annigoni nel convento di San Marco (a sinistra Sant’Antonino e Santa Caterina, e a destra San Tommaso e Savonarola)
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 ??  ?? Sopra i frati domenicani nella basilica di San Marco, a destra il cortile del convento e a sinistra un ambiente della biblioteca Levasti
Sopra i frati domenicani nella basilica di San Marco, a destra il cortile del convento e a sinistra un ambiente della biblioteca Levasti
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