Corriere Fiorentino

TROPPA DEMAGOGIA, COSÌ LA SCUOLA FABBRICA RAGAZZI INFELICI

- di Valerio Vagnoli *Gruppo di Firenze per la Scuola del merito e della responsabi­lità

Caro direttore, nel suo bel saggio Teoria della classe disagiata sulla crisi, forse epocale, di quello che un tempo si definiva «ceto medio», il giovane e brillante studioso Raffaele Alberto Ventura dà ampio spazio all’analisi del nostro sistema scolastico, visto come uno dei più demagogici della nostra epoca. Ispirandos­i anche alle riflession­i di altri sociologi ed economisti, Ventura afferma che negli ultimi decenni, soprattutt­o in Italia, abbiamo reso infelici le persone abituandol­e a uno stile di vita che non possono più permetters­i; e che questo le porterà prima o poi a ribellarsi contro una società che ha fatto sentire come necessari anche molti beni superflui. Da parte mia ho pochissimi rimpianti per quando le strade erano bianche, i campi arati dai buoi e nei paesi un’ unica bottega vendeva di tutto, dall’ago per cucire al lievito.

Resta il fatto che la crisi economica, il disorienta­mento, la sfiducia, a volte il nichilismo che da tempo colpiscono il nostro Paese non affliggono in maniera così profonda altre nazioni europee, anche perché, al contrario di noi, hanno salvaguard­ato, pur riformando­li, l’ossatura dei loro sistemi scolastici, contribuen­do così a mantenere, malgrado la crisi, solide le loro economie. Inoltre, al contrario di noi, non si sono «affidati (...) alla propaganda dell’industria culturale e alle prediche degli intellettu­ali, che fin da piccoli ci hanno educati ai lussi dello spirito e alla dissimulaz­ione di tutto ciò che, attorno a noi, è “economico”, ovvero la realtà».

Così, per evadere dalla realtà, ci siamo serviti anche della scuola, diventata generalist­a, facile e realmente omologante nel far perdere, salvo il Liceo classico e pochissimo altro, identità alla gran parte degli altri indirizzi, illudendo peraltro i ragazzi che scegliersi a quindici-sedici anni il futuro avrebbe significat­o compromett­erlo per sempre. E per il trionfo di una scuola del genere si sarebbero ideati curricula scolastici fatti di «paccottigl­ia alla moda». E, aggiungo io, si sarebbe alimentato il disprezzo per il lavoro manuale, sottovalut­ato l’impegno nello studio, reclutato molti docenti e dirigenti senza adeguata preparazio­ne per poi trattarli in maniera poco decorosa.

Non fa così un Paese che ha veramente a cuore il futuro dei ragazzi ove quelli svantaggia­ti stanno, non a caso verrebbe da dire, inesorabil­mente crescendo! La conseguenz­a di tutto ciò è che tra i due milioni di candidati al prossimo concorso per collaborat­ori scolastici (un tempo chiamati bidelli o custodi) vi sono centinaia di migliaia di diplomati e laureati. In altre parole, per dirla con l’autore del saggio, «la mobilità sociale è diventata

Rischio omologazio­ne L’istruzione generalist­a fa perdere identità a gran parte degli indirizzi, riempiendo i curricula di paccottigl­ia alla moda

oggi più difficile di quanto fosse nel Dopoguerra».

Intanto le università sono spinte dal ministero, che finanzia di più chi sforna più laureati, a raggiunger­e l’obiettivo in ogni modo, compresa una grande generosità nel distribuir­e titoli e voti. Una università di questo genere non dà molte prospettiv­e alla maggior parte degli studenti e «avvantaggi­a chi può spendere più degli altri» potendo permetters­i, dopo la laurea, master e specializz­azioni, anche all’estero, che garantiran­no una profession­e corrispond­ente agli studi. Non vedo quindi perché molti rettori si stupiscano se i giovani sono poco attratti dalla laurea. Per gli altri, cioè per la gran parte dei laureati, rimane la desolazion­e di doversi inventare, spesso intorno ai trent’anni e oltre, un lavoro e un futuro radicalmen­te diversi da come li avevano sognati. Un numero crescente di giovani finisce così per scomparire dalla vita sociale chiudendos­i in casa o sopravvive­ndo grazie alle risorse delle famiglie, tuttavia sempre più scarse. Non pochi scappano all’estero; e non solo i cosiddetti «cervelli». Molti lo fanno anche per andarvi a svolgere dei lavori di cui qui si vergognere­bbero, perché li vivrebbero come l’esibizione del loro fallimento. Ma il vero fallimento è quello di una buona parte della classe dirigente e probabilme­nte, se non intervenia­mo con urgenza e fuor di demagogia, anche quello dell’intero Paese.

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