Corriere Fiorentino

NOVECENTO, CHI TI CONOSCE?

- di Riccardo Saccenti

In un tempo in cui la cultura collettiva procede spesso per anniversar­i sorprende che ci si avvicini quasi in silenzio ai settant’anni della Costituzio­ne repubblica­na, firmata dal capo dello Stato De Nicola il 27 dicembre ed entrata in vigore il primo gennaio 1948. Il compleanno della nostra Costituzio­ne, che nell’antifascis­mo ha uno dei suoi cardini, cade in un tempo in cui si riaffaccia­no i segni di un fascismo pervasivo. Alla vigilia di una delicatiss­ima tornata elettorale l’opinione pubblica si è divisa sulle intimidazi­oni alla stampa e alle associazio­ni che si occupano di migranti e sulla vicenda fiorentina della caserma Baldissera, derubrican­do spesso questi episodi a eventi marginali, a gesti di giovani incoscient­i e forse in parte comprensib­ili, arrivando a paventare un uso strumental­e dell’antifascis­mo per «distrarre» gli elettori. Forse il campanello d’allarme più preoccupan­te del crinale storico su cui la Repubblica si trova, è stata la scelta del Comune di Firenze di concedere gli spazi pubblici solo a quelle realtà associativ­e che hanno una «certificaz­ione» antifascis­ta. Il sottinteso di questa scelta è infatti un contesto nel quale la distinzion­e fra fascismo e antifascis­mo è progressiv­amente sfumata fino a farsi indistinta, custodita dal numero sempre più esiguo di chi ha visto la propria vita segnata dal peso tragico di quella distanza.

Non si tratta solo di una perdita di memoria ma di qualcosa di più radicale che si è consumato con una progressiv­a eclissi dell’antifascis­mo iniziata negli anni Settanta per lo più nell’indifferen­za collettiva di chi doveva curarsi della coscienza democratic­a del Paese. Piccoli passi di una controtend­enza sono iniziati negli anni Novanta, all’inizio di una stagione di riforme della scuola purtroppo mai compiuta, quando si voleva che gli studenti italiani conoscesse­ro il Novecento e maturasser­o una coscienza storica delle radici della nostra democrazia repubblica­na. L’esigenza di rilasciare «patenti» di antifascis­mo dimostra però quanto le istituzion­i, le realtà educative, la cultura, abbiano fallito in questo obiettivo, riducendo l’insegnamen­to della storia ad un accumulo di nozioni, ad un programma da completare entro la fine dell’anno scolastico. Questo esito ha certamente responsabi­lità politiche precise ma affonda le radici in un atteggiame­nto più generale di autoassolu­zione che l’intero Paese ha nei confronti del proprio passato.

È figlio di una ideologizz­azione della Resistenza che ha fatto dimenticar­e le responsabi­lità delle forze economiche e sociali e di quei pezzi dello Stato che agevolaron­o la presa del potere del fascismo e contribuir­ono alla costruzion­e del regime e ai suoi esiti antisemiti e bellicisti. È figlio anche di una mancata coscienza storica della Chiesa, che preferì l’autoritari­smo di Mussolini al popolarism­o sturziano. Non si tratta di intavolare processi postumi, ma di comprender­e il valore civile, culturale e politico della ricerca e dell’insegnamen­to della storia, che sono il nutrimento essenziale della coscienza comune di un Paese che non nega il proprio passato ma di esso è consapevol­e e si assume la responsabi­lità.

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