«Monaci mi avvertì: chi tocca il Forteto esce con le ossa rotte»
Nel 2012 Nessuno in Consiglio regionale voleva la commissione. E Marco Carraresi, dopo avermi chiesto di raccogliere le firme, poi non volle più farne parte
«Il suo voleva essere un consiglio paterno. Mi disse: “Fai attenzione, chi ha provato a occuparsene ne è uscito con le ossa rotte. Chi tocca il Forteto muore”». Era il 2012 e Stefano Mugnai, consigliere regionale di Forza Italia, stava raccogliendo le firme per far partire la prima commissione d’inchiesta sul Forteto. A dirgli quelle parole, racconta, fu l’allora presidente del Consiglio, Alberto Monaci. Uno dei tanti episodi di resistenze, opacità, consigli paternalistici o aperte ostilità — molti dei quali mai raccontati finora — cui si trovò di fronte chi tentò di fare breccia in una vicenda ancora per molti tratti oscura. Mugnai, aretino, era al primo mandato e del Forteto non aveva mai sentito parlare fino allo scoppio dell’inchiesta nel dicembre 2011. «Avevo letto solo le notizie sui giornali — racconta — A inizio 2012 Marco Carraresi (Udc) mi chiamò nella sua stanza dove mi aspettava anche Paolo Bambagioni (Pd). Mi chiesero di verificare se nel Pdl ci fosse la possibilità di raccogliere le firme per far partire una commissione d’inchiesta. Furono loro ad avere l’idea, ma il Pdl era fondamentale per i numeri. Io riuscii a raccoglierle, non senza qualche perplessità da parte dei più “anziani”. Ma al momento di far partire la commissione, con mia sorpresa, vidi che Carraresi non ne faceva parte. Mi confessò di avere paura: mi raccontò che anni prima il consigliere popolare Franco Banchi aveva fatto un’interrogazione sul Forteto e poco dopo si era trovato oggetto di una perquisizione per un’indagine su una vicenda a sfondo sessuale. Il fatto sarebbe poi risultato senza fondamento e tra gli ex Dc molti si fecero l’idea che l’interrogazione c’entrasse».
In Consiglio pochi volevano l’inchiesta. Così, la commissione fu incaricata di indagare sul sistema degli affidi «alla luce del caso Forteto», non sul Forteto. «Il giorno dell’insediamento — racconta Mugnai — prima che mi nominassero presidente, a presiedere c’era proprio Monaci. Siccome eravamo tutti alla prima legislatura tranne Monica Sgherri (Prc), Monaci si rivolse proprio a lei: “Monica, lo capite cosa andate a fare? Te ne rendi conto?». E al momento di chiedere una proroga ai lavori, di nuovo i muri si alzarono: «Daniela Lastri (Pd) fece di tutto per ostacolarci la proroga e, una volta concessa, Monaci ci intimò di parlare solo di affidi e non più di Forteto. Ma noi andammo avanti». La sera prima della lettura della relazione in aula, era il 15 gennaio 2013, Mugnai ricevette una soffiata sul boicottaggio della seduta: «Non ve la faranno leggere, mi fu detto. Dovetti far telefonate fino alle due di notte per sbloccare la situazione». E il giorno dopo, il 16, è storia nota: Monaci in aula parlò di violazioni costituzionali, mentre i consiglieri del Pd misero all’angolo il loro commissario, Paolo Bambagioni: «Non è una relazione, ma un processo» gli dissero. Al contrario, confessa Mugnai, la procura sostenne il lavoro d’inchiesta in Regione, tanto da citarlo poi nella requisitoria del processo di primo grado. «Il caso Forteto racconta la patologia dei meccanismi politici, economici e culturali della Toscana — conclude Mugnai — Un Forteto può accadere ovunque, ma solo in un contesto malato può durare 30 anni prima di emergere».