Una lettera da Fiesole contro i veleni sul Papa «Eretico? Accuse vili»
È stato accusato di essere stato eletto Papa con un imbroglio, altro che Spirito Santo. E Antonio Socci, giornalista e scrittore senese dalla penna acuminata, è giunto persino ad attribuirgli il disegno di voler abbattere «la cattedrale bimillenaria della Chiesa cattolica». A leggere interviste di cardinali conservatori e siti cattolici tradizionalisti non si annuncia un Natale di nenie e abbracci per il Papa venuto da lontano. Da quell’Argentina dove, altra accusa, avrebbe imparato l’arte del populismo alla Peron.
Se non bastasse ecco, fresco di stampa, un altro «dono» natalizio per il Papa che quasi quasi avrebbe voluto chiamarsi — altra stilettata di Socci — Gesù II: la biografia al curaro di Marcantonio Colonna (uno pseudonimo) intitolata Il papa dittatore. Per l’autore, Francesco sarebbe «una persona che soprattutto sa come instillare la paura» in una «ragnatela di menzogne, intrighi, spionaggio e sfiducia».
Eretico. Peronista. Dittatore. Mai, almeno ai nostri tempi, si erano lette accuse così pesanti contro un Papa. E mentre Francesco risponde colpo su colpo, lo ha fatto anche ieri nel discorso natalizio, accusando la Curia romana di «complotti e piccole cerchie», in difesa del Papa scende in campo il vescovo di Fiesole Mario Meini: «Il vero punto è che Papa Francesco ci sta spingendo avanti, guidandoci ad una rinnovata conversione culturale e pastorale, improntata al più genuino insegnamento del Vangelo», scrive Meini su Corrispondenza, periodico della diocesi fiesolana, fondato da monsignor Gastone Simoni.
A questa conclusione il vescovo di Fiesole giunge attraverso una difesa teologica, punto su punto, di Papa Francesco, che prende le mosse dal riconoscimento della legittimità delle «sensibilità diverse e opinioni variegate: il confronto dialettico è sempre stato una profonda ricchezza della Chiesa», riconosce Meini. Parole che suonano come un’apertura nei confronti dei contestatori. Purché restino nell’alveo della fedeltà a Roma. Non a caso il numero due della Cei tralascia l’accusa di un Papa dimezzato da un’elezione irregolare in conclave per concentrare la sua requisitoria difensiva sulle contestazioni
Il vescovo Meini Chi vuole colpire Bergoglio? Quei poteri che si muovono al di sopra della politica anziché servirla?
del magistero di Papa Francesco. A cominciare dalla più grave di tutte, quella di eresia.
Meini cita, a questo proposito, il filosofo Benedetto Ippolito: «Si può essere poco sensibili o perfino scettici verso una linea dottrinale, ma non si può pubblicamente sconfessare o accusare larvatamente un Papa di promuovere eresie». Sì alle prese di distanza, ai dubbi, ma no alla critica pubblica del Papa che rappresenta «una grave disobbedienza alla sua autorità che crea difficoltà e confusione».
Riguardo infine alla politica di Papa Francesco molto contestata da alcuni «ambienti cristiani», Meini replica che in realtà l’ex cardinale di Buenos Aires ha «riabilitato la politica come la forma più alta della carità che cerca il bene comune. In questo senso alto egli afferma che tutto è politica, persino un’omelia». Meini si chiede infine chi abbia interesse a «sminuire» l’idea di politica di Papa Francesco, se non quei poteri che si muovono «al di sopra della politica anziché mettersi al suo servizio: vale a dire i poteri del denaro, delle armi e della tecnocrazia». La difesa del Papa da parte del vescovo di Fiesole appare alquanto inusuale e suona come un allarme, una preoccupazione diffusa nella Chiesa anche toscana. Sì, toscana. Perché è molto probabile che la lettera natalizia di monsignor Meini, per il suo riconosciuto equilibro e per il ruolo che ricopre di vice presidente della Cei per l’Italia centrale, non sia un’iniziativa isolata, ma rappresenti l’intero episcopato toscano.
E ciò fa capire come le contestazioni all’attuale pontificato siano molto radicate, profonde anche nella Chiesa toscana. Non più spifferi e sussurri, limitati a qualche sito web sanfedista o a qualche cardinale ultratradizionalista. No, si tratta evidentemente di qualcosa di più ampio. E carico di rischi, tensioni, rotture che a cinquant’anni dal ‘68, in cui la Chiesa fu attraversata da contestazioni e ribellioni — dal no all’enciclica di Paolo VI contro la pillola al caso Isolotto di don Mazzi — ripropone antichi spettri e ferite.