A passeggio nella storia tra le Madonne fiorentine
Simbolo di fede, ma anche di amore materno. Un viaggio tra le rappresentazioni più intense
A Firenze c’è una piccola tavola in una predella che in pochissimi notano, catturati dal prestigio mondano, dalle luci dorate, dalla magnificenza e dalla ricchezza di particolari che attirano lo sguardo di quanti, agli Uffizi, restano ammirati davanti alla Pala Strozzi di Gentile da Fabriano. Ebbene, in questa predella, nella prima tavola a sinistra, c’è una Natività di straordinaria bellezza.
L’ambientazione è del tutto simile a quella della pala centrale, ma rappresenta il momento che precede l’arrivo dei Magi e la concitazione del corteo. Il bambino appena nato emana una luce divina e Maria lo sta accudendo sotto l’occhio vigile di una delle due ancelle che da lontano sembra controllare che tutto sia a posto, mentre l’altra serva è appisolata e Giuseppe, in disparte, dorme. L’intimità della scena, accentuata da una sensibilità luministica notturna e da un cielo stellato che sembra ricamato, ha il suo centro in Maria in preghiera davanti al suo neonato.
Se è vero che la Festa dei Magi costituisce una delle tradizioni fiorentine più note legate alle festività natalizie, e che la sua rappresentazione in pittura è uno dei temi nei quali i ceti più abbienti amavano farsi ritrarre, Firenze non è solo la città della «Stella». Tra i centri della Toscana, infatti, è quello che più si è rispecchiato, attraverso il dogma dell’incarnazione, nell’immagine di Maria. Questa vocazione, profondamente radicata nella storia cittadina, ha un significato non solo religioso ma anche sociale, come in più occasioni ha scritto Timothy Verdon nelle sue documentate pubblicazioni dedicate a questo tema.
Fu a Firenze, infatti, che nacquero due notissimi santuari consacrati alla Vergine e fu fondato un ordine religioso in suo nome, così come sempre alla Madonna furono dedicati importanti sodalizi laicali, alcuni dei quali, come la Misericordia, continuano ancora oggi a essere parte attiva della vita quotidiana della città. Il legame tra Maria, Gesù bambino e Firenze affonda le proprie radici in un tempo ben più lontano di quello in cui visse la gran contessa Matilde di Canossa.
Firenze, la Florentia romana e poi la Fiorenza medievale, vantava nel Rinascimento l’onore di avere un nome che richiamava direttamente Gesù, «primo fiore della nostra salvezza», come riportato in una Delibera del Comune del 29 marzo 1412. Questa relazione si percepisce tanto nelle arti che nell’architettura, e se ne trova traccia non solo nelle chiese e nei musei, ma anche per le strade, dove una moltitudine di tabernacoli con immagini soprattutto mariane adorna gli angoli più inaspettati e i vicoli più nascosti in un vero e proprio percorso museale a cielo aperto.
Una presenza quella della Madonna a Firenze, costante e delicata allo stesso tempo, che accompagna fiorentini e turisti, fedeli e appassionati d’arte, e chiunque voglia leggere in quelle immagini un messaggio che non è necessariamente solo di fede, ma che coinvolge anche la fragilità e la bellezza dell’arte o più semplicemente, e umanamente, evoca l’amore materno. Punto di riferimento, dunque, Maria, ma anche perno cruciale nell’urbanistica. Basta citare quale esempio campione (ma questi percorsi si potrebbero moltiplicare all’infinito) l’asse che collega i due edifici più antichi presenti in città legati al culto della Madonna, la Basilica della Santissima Annunziata e Orsanmichele, posti su una direttrice ideale il cui fulcro è il duomo.
Dalla Santissima Annunziata, principale santuario mariano, proseguendo verso il Duomo per via dei Servi, a poche centinaia di metri dalla piazza, nel Cinquecento sorgeva un altro edificio mariano soppresso alla fine del XVIII secolo, la chiesa della Santissima Concezione, che il vescovo Leonardo Buonafede fece erigere in onore della Madonna. Dalla parte opposta sorge invece Orsanmichele. Intorno alla metà del XIII secolo quando la chiesetta di san Michele in orto fu demolita per far posto al mercato del grano, su uno dei pilastri della loggia fu apposto un dipinto, la famosa Madonna del Popolo, ritenuto miracoloso e oggetto di grande devozione da parte dei fiorentini. Quando l’opera fu distrutta in un incendio, i fedeli ne rimasero sconcertati. Fu così chiesto a Bernardo Daddi di dipingere una nuova tavola che rappresentasse sempre la Madonna, questa volta delle Grazie, che fu in seguito collocata all’interno dello splendido tabernacolo commissionato all’Orcagna dalla potente Confraternita della Madonna di San Michele in orto: costruito utilizzando i marmi più pregiati ancor oggi esso risplende in tutto il suo luccichio gotico. Secondo alcuni la cupola di questo tabernacolo potrebbe essere ispirata a quella progettata, e mai realizzata, da Arnolfo di Cambio per la cattedrale, la quale è visibile in uno degli affreschi del Cappellone degli Spagnoli in Santa Maria Novella, altra importante basilica dedicata alla Vergine. In questo percorso ideale Santa Maria del Fiore ci ricorda che Firenze è la città dell’Annunciazione per eccellenza. Secondo lo storico dell’arte statunitense Irving Lavin la grande cupola sarebbe addirittura simbolo del ventre della vergine incinta: il fiore incarnato, simbolo del racconto evangelico (poi divenuto dogma) dell’incarnazione, si manifesta agli uomini nella scultura di Augusto Passaglia collocata nella cuspide centrale sulla facciata del duomo. Quella Madonna è la stessa madre dipinta nella predella di Gentile che in pochi notano: nella piazza «del Paradiso», invece, ogni anno una moltitudine di turisti resta con il naso all’insù ad ammirarla. Seduta in trono, lei si affaccia e ricambia con lo sguardo, mentre col braccio trattiene con un misto di autorevolezza divina e amore materno il suo bambino che sembra volersi offrire in dono alla folla sfuggendo dal suo grembo.