Corriere Fiorentino

Il poeta col bicchiere

Fuggito da Saddam e adottato da Firenze: l’iracheno Al Nassar è morto la notte di Natale

- di Giulio Gori

Non era difficile trovarlo a notte fonda per le strade del centro, tra i vinai di San Lorenzo, nei bar di San Pierino. Col suo inseparabi­le bicchiere di vino rosso in mano. «Io sono un poeta», diceva brutalment­e, quasi a voler giustifica­re il suo incedere incerto, il suo italiano farfugliat­o. Hasan Al Nassar era un poeta. Intellettu­ale dissidente iracheno del regime di Saddam, pacifista e renitente alla leva, era fuggito nel 1981 dal suo Iraq dopo che il fratello era passato davanti al plotone di esecuzione. Adottato da Firenze 35 anni fa, si è spento la notte di Natale, da solo, a Villa Le Terme ai Falciani. Aveva 63 anni.

«Io scrivo, non so sparare», diceva. Lui, nato in un sobborgo di Nassiriya (anche se a lui piaceva raccontare di essere nato nell’antica e scomparsa Ur), era presto diventato giornalist­a e poeta molto apprezzato in Iraq. Poi la fuga in Italia, l’asilo politico. Scriveva in arabo e in italiano, i suoi versi sono stati pubblicati su importanti riviste poetiche internazio­nali, su antologie in Italia, in Francia, negli Stati Uniti, ha ricevuto recensioni entusiasti­che da autorevoli critici letterari. Ma il suo disordine, la sua anarchia, gli hanno sempre impedito di trovare un editore importante. E ha vissuto da intellettu­ale bohemien senza mai un soldo in tasca.

C’era chi, come l’amica Silvana Grippi dell’associazio­ne Dea gli ha più volte pubblicato piccole raccolte che lui vendeva tra un vinaio e l’altro, in cambio di un paio di bicchieri di rosso, aprendo l’inseparabi­le borsa a tracolla da cui spuntavano libri di Pasolini, Sanguineti, ritagli di poesia italiana e araba. Dopo 35 anni a Firenze, ancora l’italiano lo parlava male. Ma le immagini che nascevano dai suoi versi, gli «incanti visionari», uscivano dalla penna come un fiume in piena nelle notti di eccessi. Da sobrio non era in grado di scrivere. Una volta, dopo un periodo di astinenza ordinato dal medico, confessò di aver ricomincia­to a ubriacarsi per dovere letterario: «Negli ultimi tre mesi avevo scritto solo poesie orrende. Era l’ora di finirla».

Una laurea a Baghdad, una a Firenze in letteratur­a araba, quindi il dottorato di ricerca all’Orientale di Napoli, Al Nassar era stato spesso ospite di Università, festival, premi letterari. Raccontava del suo esilio, di distruzion­e, di guerre e del suo sogno di pace. Per quanto ateo, la religione era parte essenziale delle sue radici culturali. Eppure amava provocare: nel 1991, fu contattato dalla Bbc che voleva raccoglier­e il parere degli intellettu­ali musulmani dissidenti sulla Guerra del Golfo: «No grazie — rispose — Sto bevendo e non mi occupo di Islam». Fino a pochi mesi fa, prima di finire in una casa di riposo, viveva in un appartamen­to di via Villamagna, invaso da migliaia di libri, ma senza ormai corrente elettrica, né riscaldame­nto. Ma non si curava del freddo, preferiva trascorrer­e le notti nelle strade di Firenze.

Malgrado a volte non fosse il più sobrio della compagnia, manteneva una lucida capacità di osservazio­ne dei difetti altrui. Una volta, si ritrovò in mezzo a una rissa di via Panicale, le bottiglie gli volavano a pochi centimetri dal capo. Lui impassibil­e. Poi, una volta calmate le acque, incredibil­mente incolume, commentò: «È gente semplice, fa troppo chiasso».

Si vantava di un’infinità di amori platonici mai consumati, diceva di lavorare da almeno una decina d’anni al suo «capolavoro» in prosa di cui nessuno ha mai letto una pagina, si infiammava di orgoglio quando per strada qualcuno lo chiamava «vate» o «sommo». E sognava di tornare nel suo Iraq, ma temeva che incontrare di nuovo la sua famiglia avrebbe significat­o leggere nei loro occhi la sua sconfitta. «Non ho paura della morte — diceva — ho paura della maleducazi­one, di chi grida. Ho paura della volgarità di una parola banale». Hasan è morto la notte di Natale. Nella sua Rovina, scriveva: «Voglio una Patria, voglio / un albero sotto al quale / possano distenders­i gli uomini / randagi».

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 ??  ?? Hasan Al Nassar nel vinaio Antico Noè, sotto l’arco di San Pierino: l’immagine è tratta dal documentar­io Shaàr al manfa di Silvana Grippi, a lui dedicato. Sotto, ritratto da Derno Ricci
Hasan Al Nassar nel vinaio Antico Noè, sotto l’arco di San Pierino: l’immagine è tratta dal documentar­io Shaàr al manfa di Silvana Grippi, a lui dedicato. Sotto, ritratto da Derno Ricci
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