«Non possiamo rinunciare alla scienza»
Garattini (Istituto Mario Negri): troppe sperimentazioni mascherate da cure caritatevoli
«Bisogna essere vicini alle sofferenze di una famiglia, molti tentano di tutto pur di avere una speranza». Silvio Garattini, farmacologo dell’Istituto Mario Negri di Milano, comprende il dolore. «Ma del metodo scientifico — dice — non si può fare a meno».
«Bisogna essere vicini alle sofferenze di una famiglia. Molti tentano di tutto pur di avere una speranza. Però quando una cura non è stata valutata adeguatamente, non sappiamo se fa bene o male. E potrebbe essere anche molto dannosa». Il farmacologo Silvio Garattini, dell’Istituto Mario Negri di Milano, si dice vicino a chi si trovi ad affrontare una vicenda dolorosa. «Ma del metodo scientifico — dice — non si può fare a meno».
Professor Garattini, di fronte a una malattia che è una condanna a morte, perché è sbagliato provarle tutte?
«Il metodo scientifico è indispensabile perché se noi accettiamo tutto, finiamo per non sapere più che cosa è efficace e cosa non lo è. Diventa un problema di opinioni personali, non di scienza. Il metodo Stamina non aveva alcuna base scientifica. Quel prodotto, ancora prima che finisse al centro della ribalta mediatica, era stato valutato dall’Istituto superiore di Sanità: dentro non c’erano cellule staminali».
Per i genitori e la pediatra di Sofia, le infusioni davano sollievo alla bambina. In questi casi, non è “compassionevole” consentire la cura?
«Di fronte al caso singolo, non c’è nessuna prova che dei miglioramenti siano dovuti a un determinato prodotto. Non sappiamo come la bambina sarebbe stata se non avesse fatto le infusioni».
L’Italia ha troppe rigidità rispetto all’accesso alle cure caritatevoli?
«Al contrario, siamo uno dei Paesi più permissivi. Per le terapie compassionevoli si utilizzano farmaci che sono solo all’inizio della sperimentazione clinica, di cui sappiamo ancora poco. Ma almeno c’è un barlume di idea che possano essere efficaci. Di fronte a un caso disperato, il trattamento compassionevole in Italia è anzi autorizzato con troppa facilità, diventa un modo mascherato per fare sperimentazione».
E la politica? È mancata? Ha lasciato la decisione ai tribunali?
«Si è ripetuto quanto successo con la terapia Di Bella. Abbiamo dei giudici che, pur con le migliori intenzioni, hanno preso decisioni sbagliate. E il Parlamento aveva istituito commissioni per avviare la sperimentazione di Stamina. L’Istituto superiore di sanità si era già pronunciato: il metodo non aveva alle spalle ricerche attendibili, pubblicazioni. Ma l’Italia manca di cultura scientifica, compresi i suoi politici, che credono che di un problema del genere se ne possa occupare anche chi non ha basi».
La legge sul fine vita, che apre al diritto del malato a rinunciare all’accanimento terapeutico, non potrebbe, di converso, aprire a chi chiede di provarle tutte, anche se si tratta di cure non sperimentate?
«Non mi sento un profeta, ma non credo che la legge aprirà a questo tipo di strade. Se invece succederà, bisognerà trovare il modo di evitarlo».
Con Vannoni e la sua terapia commessi gli stessi errori compiuti all’epoca del metodo Di Bella