Corriere Fiorentino

PARADOSSI E DIRITTI, 80 ANNI DOPO LE LEGGI RAZZIALI

- di Ugo Caffaz*

Caro direttore, è impossibil­e che la legge sullo Ius soli, ancorché «temperata», venga approvata in questa legislatur­a ormai conclusa, dato che non può essere considerat­a di normale amministra­zione. E questa è una grave sconfitta. Credo comunque che vada fatta chiarezza per evitare pericolose deviazioni culturali, storiche e politiche. Chi nasce in Italia da genitori immigrati che intendono rimanere qui, dovrebbe avere gli stessi diritti e doveri degli altri, come avviene in America. Fra questi c’è la scuola dove imparerebb­e anche la storia del Novecento, magari insieme ai nostri ragazzi a cui potrebbe raccontare anche la sua storia. Davvero c’è la volontà di non trovare una soluzione positiva per dei minori lasciandol­i indifesi? Si arriva al paradosso. Proprio in questi giorni è stato necessario un intervento per consentire a 40 ragazzi di partecipar­e a un torneo di calcio (sic!). Chi ha il «coraggio» di dire a un bambino che è diverso dagli altri? Il fine di tutto si dice sia l’integrazio­ne, che in qualche modo va «pagata». Si intende forse che questi aspiranti alla cittadinan­za debbano diventare «come noi», dimentican­do le loro origini? Padre Balducci, qualche decennio fa, parlando degli ebrei diceva di ammirarli per la loro capacità di integrarsi, appunto, mantenendo la loro cultura. Pare che invece nei nostri giorni si tema la confusione culturale, il confronto produttivo. Oggi è in vigore una norma che solo dal nome fa saltare sulla seggiola: lo «Ius Sanguinis». Se uno dei due genitori è italiano o discendent­e da italiani anche suo figlio ha diritto di esserlo. Principio stabilito con legge nel ‘92 dell’onorevole Tremaglia, per favorire il voto degli italiani all’estero che magari non avevano mai messo piede nel Paese, mentre i bambini stranieri hanno bisogno di 5 anni per gli stessi diritti garantiti da questa «furbata» che richiama, sia pure alla rovescia, le leggi Razziali delle quali nel 2018 ricorre l’80° anniversar­io. Il decreto che cacciava gli ebrei dalle scuole fu firmato da Vittorio Emanuele III a San Rossore, lo stesso re che in questi giorni ha avuto finalmente (sic!) il riconoscim­ento del diritto a essere sepolto in Italia. A decidere chi fosse da considerar­si ebreo o no era il Tribunale della Razza. Siamo lontani dal tema di attualità però i meccanismi su cui costruire una società ingiusta sono gli stessi. Basta guardare le destre razziste in ascesa in Europa: Polonia, Ungheria, Austria. Ieri gli ebrei (ora tornati di moda) oggi gli immigrati, quasi sempre di colore, individuat­i come origine delle nostre disgrazie e «capro espiatorio». Poi quindi è necessario trovare un «capo» che risolva il problema in momento di crisi economica e debolezza della politica. Quello stesso capo che, probabilme­nte, ha favorito l’emergere di questa equazione. A tutti i livelli, a partire da un sindaco che si scaglia contro i mendicanti. C’è anche una malcelata paura che da unioni fra italiani e persone di colore venga meno la purezza della «razza». Diceva Rita Levi Montalcini: «Le razze non esistono, i razzisti sì». Senza fare paragoni, però torna alla mente un decreto del 1937 che vietava i rapporti di «indole coniugale» fra italiani e cittadini delle colonie. Poi vennero proibiti i matrimoni misti fra ebrei e cristiani per evitare l’impurità razziale. Oggi, giustament­e, si fanno manifestaz­ioni contro l’intolleran­za. Ma la tolleranza non può esser il punto di arrivo, c’è comunque una configuraz­ione gerarchica fra chi tollera e chi è tollerato. Questa tematica dovrà essere oggetto della prossima campagna elettorale da parte della sinistra e, mi raccomando, senza dire che non è il momento giusto per sollevare il problema.

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