PERCHÉ LA CARTA NON RESTI CARTA
Che gli studenti di tutta Italia trovino la Suprema Carta nella calza della Befana può solo fare piacere. Come hanno osservato Armaroli e Lancisi su queste pagine, la Costituzione è un esempio di bello scrivere, alieno da quella dissenteria di barbarismi che affligge la stessa prosa ministeriale. In più è l’esempio di come culture molto diverse quali la liberale, la marxista e la cattolica abbiano potuto esprimere una sintesi, senza scartare neppure taluni lasciti del corporativismo, di cui è traccia nell’istituzione del Cnel o nell’auspicio di una partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese. Si potrebbe obiettare che in molte famiglie italiane una copia della Carta c’è già; ma in un mondo di auto sempre più grosse e di abitazioni sempre più anguste siamo in pochi a conservare i libri di scuola, e poi difficilmente gli immigrati possiedono una copia della nostra Costituzione, come noi ignoriamo quella dell’Albania o del Marocco. Il problema è un altro e riguarda i limiti dell’intellettualismo etico socratico: l’illusione che conoscere il bene basti per praticarlo. Spesso si fa il male sapendo di farlo, anzi, specie in quell’età ingrata che è l’adolescenza, proprio per il piacere della trasgressione. Un esempio: dai primi anni ’90 l’insegnamento del diritto è entrato nel biennio degli istituti professionali. Scelta opinabile sotto il profilo pedagogico, perché il diritto è una forma sia pur pratica di filosofia spesso ostica alla mente di un quattordicenne, e di relativo profitto: proprio nelle prime classi di molti professionali si registrano i peggiori comportamenti antisociali. Studiare le leggi non basta per rispettarle, anche perché dal loro studio l’uomo tende a ritenere più la memoria dei diritti che la consapevolezza dei doveri. La vera educazione civica è quella che unisce alle parole i fatti, in una scuola che voglia essere davvero comunità educante: una scuola in cui il professore si presenti vestito decorosamente, perché non si può esigere rispetto dagli altri se non lo si ha per se stessi, il bulletto sia messo a posto subito e non affidato ai buoni uffici dello psicologo, il genitore non critichi davanti ai figli l’insegnante e questi non imprechi contro il Governo, anche se ne avrebbe motivo, visto che non gli garantisce una retribuzione «pari alla qualità e quantità del lavoro prestato». Già oggi s’insegnano molte educazioni, ma non sempre si riesce a insegnare l’educazione: quell’educazione senza la quale anche la migliore delle Carte rischia di rimanere un pezzo di carta.