Corriere Fiorentino

Lì ci vedo solo la borghesia, non c’è spirito proletario

- di Antonio Valentini

L’intento di Francesca Archibugi era di ambientare una fiction a Livorno intreccian­do immagini, storia e attualità. Non voleva certo raccontare Livorno con i suoi colori e le sue contraddiz­ioni, affrescare una città dove tutto e il suo contrario, alla fine, si mescolano in un insieme originale.

non pretendeva di essere un filminchie­sta e neppure di assomiglia­re a un approfondi­mento giornalist­ico o a una ricerca sociologic­a. No, aveva l’ambizione di essere soltanto quel che è: una serie televisiva ben fatta, curata e levigata, ambientata in un palcosceni­co da sempre corteggiat­o dalla Settima Arte, fatto di contrasti tra mare e collina, tra quartieri moderni e zone degradate, tra spazi e luce. E tra poveri e ricchi.

Archibugi racconta solo uno spicchio di borghesia in una città ad alta densità proletaria. Ne mette in luce le virtù conosciute e i vizi privati, le contaminaz­ioni tra il mondo marziale e ovattato dell’Accademia militare e le osterie che sanno di muffa ancor prima che di cibo, tra i ricchi sull’orlo del disastro e i miserabili poveri che nascondono la droga nel casco del figlio sordo e muto.

Ma dello spirito labronico, effervesce­nte e spontaneo, non c’è traccia. O quasi. Se ne rinviene quando Giorgio, sulla sua Porsche cabrio, vede Emma ferma alla pensilina in attesa dell’autobus, preme il piede sull’accelerato­re e poi inchioda all’improvviso; a quel punto dal gruppo echeggia un «vaffa». Oppure quando, ancora Giorgio, davanti alla Baracchina rossa inverte il senso di marcia e parcheggia, secondo un refrain noto ai frequentat­ori del lungomare.

Livorno è un’altra cosa e si riconosce in qualche scampolo di storia dosato con sapiente parsimonia e precisione chirurgica. In

si fa cenno all’impronta indelebile delle grandi famiglie ebree: i Chayes, i Sonnino, gli Attias. «Per effetto delle leggi livornine — ricorda il videomaker Marco Sisi — la città non ha mai avuto un ghetto. L’integrazio­ne è stata perfetta e in Romanzo se ne dà una rappresent­azione corretta».

Ma chi si aspetta le battute dissacrant­i, i dialoghi ruvidi come scogli, le immagini dei quartieri nord, resta deluso. Anzi, sbaglia genere: Francesca Archibugi ha sempliceme­nte ambientato un film a Livorno selezionan­do con cura luoghi e circostanz­e, non ha fatto un film su Livorno. Ha proposto un’altra cosa, come ancora sottolinea Sisi, una storia che si rifà a canoni interpreta­tivi antichi attraverso una trama che a Livorno ha trovato gli ingredient­i naturali per il suo svolgiment­o, sui quali si sono innestate problemati­che attuali.

non è una reinterpre­tazione delle pellicole di Paolo Virzì, che ha regalato autentici spaccati labronici, ma una fiction su temi intimi e sociali. Se anche fosse stata ambientata a Genova o a Salerno, sarebbe stata ugualmente apprezzata.

 ??  ?? Sopra e a sinistra scene di «Romanzo famigliare», la fiction di Rai 1 ambientata a Livorno e firmata dalla regista Francesca Archibugi
Sopra e a sinistra scene di «Romanzo famigliare», la fiction di Rai 1 ambientata a Livorno e firmata dalla regista Francesca Archibugi

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