Corriere Fiorentino

Ritratto gay

Un quadro e la storia di un amore, ai tempi dei Medici

- di Giuseppe DI Natale

Mentre ci guarda dritto negli occhi, lo sguardo fermo ma dolce e le labbra carnose leggerment­e socchiuse, con una mano si apre la camicia e con l’altra indica il suo cuore che palpita sotto un petto glabro squarciato e rivela il motto latino procul prope, ossimoro che tradotto alla lettera suona come «da lontano da vicino», ma che in questo caso significa «a distanza». È vestito all’antica e ai suoi piedi è accucciato un cagnolino, simbolo di fedeltà, che a sua volta lo guarda con devozione. Sullo sfondo due colonne alludono alla concordia, mentre le altre scritte, mors et vita sulla tunica, e hyemes et ver sopra il capo, sono le frasi con cui è convenzion­almente indicata l’amicizia. In basso a destra un bassorilie­vo mostra un uomo che piange un ragazzo che giace morto per terra: forse sono Achille e Patroclo, oppure Apollo e Giacinto, le cui tragiche storie d’amore furono narrate da Omero nell’Iliade e da Ovidio nelle Metamorfos­i. In ogni caso, sono di certo due figure della classicità unite da un legame più che amicale.

L’opera di cui parliamo è il Ritratto di giovane come allegoria dell’Amicizia, o meglio, il ritratto di un giovane, anche se ancora non è nota — e forse mai lo sarà — la sua identità. Conosciamo però quella del suo autore, Mirabello Cavalori, famoso per aver lavorato sia in Palazzo Vecchio nello Studiolo di Francesco I, che agli apparati per le esequie di Michelange­lo e a quelli per le nozze tra Francesco e Giovanna d’Austria, al fianco, tra gli altri, del pittore Girolamo Macchietti. Non vi è dubbio che tra i due ci fosse qualcosa di più profondo di un semplice sodalizio artistico (ebbero bottega insieme per diversi anni) poiché già Giorgio Vasari, che con loro lavorò, riporta che erano «amicissimi e compagni», mentre Vincenzo Borghini, filologo e storico della corte dei Medici, li descrisse, in un documento, così uniti da essere una cosa sola.

Ma chi erano questi due artisti che nella Firenze del secondo Cinquecent­o non si preoccupav­ano di nascondere i propri sentimenti? Le fonti riportano che entrambi, giovanissi­mi, si formarono nella bottega di Ridolfo del Ghirlandai­o e fu lì che forse si conobbero. Mirabello e Girolamo – i cui profili artistici sono stati studiati, tra gli altri, da Larry Feinberg, Alessandra Giannotti, Marta Privitera e Alessandro Nesi — incontraro­no il favore e l’amicizia del grande Benvenuto Cellini, la cui storia personale e giudiziari­a non lascia dubbi sulle sue esplicite preferenze sessuali. Cellini li protesse e procurò loro diverse commission­i, tra cui a Macchietti quella per la pala dell’Adorazione dei Magi destinata alla cappella del marchese Pandolfo Lotteringh­i della Stufa in San Lorenzo, e arrivò a dichiarare nel suo testamento di desiderare come decorazion­e per la propria tomba un’opera di Mirabello.

Il contesto storico nel quale questi uomini vissero era pieno di tensioni e di contraddiz­ioni: il concetto di sodomia era spesso associato a quello di eresia, al tradimento e alla lesa maestà, ma allo stesso tempo già l’Umanesimo, con la riscoperta della classicità in tutte le sue declinazio­ni artistiche e letterarie, aveva favorito le esplorazio­ni di eterodossi­e sessuali, le letture di storie d’amore passionali tra persone dello stesso sesso vissute nell’antica Grecia e a Roma e la loro traduzione nelle arti, e incoraggia­to la celebrazio­ne del concetto di «amicizia intima» tra uomini e tra donne.

Firenze si trovava nell’occhio del ciclone. Basta ricordare che in molte zone dell’Europa, soprattutt­o in area germanica, «fiorentino» stava per «gay», in senso, naturalmen­te, dispregiat­ivo. La pressione fu tale che il tribunale cittadino istituì nel 1432 l’Ufficio della Notte che perseguiva, insieme alla prostituzi­one, anche gli uomini che provavano pulsioni verso i «bei ragazzi». Il sentimento omoerotico era però diffuso in maniera così capillare in tutti gli strati sociali che all’inizio del Cinquecent­o l’Ufficio fu chiuso, pur restando la «sodomia» perseguibi­le per legge. Nella vita quotidiana la società imponeva una separazion­e tra i sessi e spesso gli omosessual­i si proteggeva­no dagli scandali celando i propri legami amorosi o erotici dietro il concetto di «amicizia», intesa come vera e propria istituzion­e sociale, al pari della parentela e del matrimonio. Ed è in questa direzione che ci piace leggere quest’opera, tra le più curiose presentate alla mostra Il Cinquecent­o a Firenze, aperta al pubblico fino al prossimo 21 gennaio. Le grandi mostre non raccontano solo una storia, ma ne racchiudon­o molte. Ed è a Mirabello e a Girolamo, i pittori dello Studiolo, e a tutti gli uomini e le donne che nel passato furono costretti a velare il sentimento che li univa dietro la parola «amicizia», che dedichiamo queste righe. Siamo certi che ovunque essi siano, lontani nel tempo della storia, ma vivi grazie alla bellezza delle opere che ci hanno consegnato, possano guardare con orgoglio proprio verso quel Palazzo Vecchio in cui dipinsero opere straordina­rie, e dove oggi tutti hanno la libertà di dichiarare quel loro stesso sentimento chiamandol­o sempliceme­nte, finalmente, soltanto amore.

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«Ritratto di giovane come allegoria dell’Amicizia» di Mirabello Cavalori
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 ??  ?? Capolavori Dall’alto in senso orario: la mostra sul Cinquecent­o a Firenze a Palazzo Strozzi Girolamo Macchietti «Medea ed Esone»; Mirabello Cavalori: «Lavinia all’ara»
Capolavori Dall’alto in senso orario: la mostra sul Cinquecent­o a Firenze a Palazzo Strozzi Girolamo Macchietti «Medea ed Esone»; Mirabello Cavalori: «Lavinia all’ara»
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