IL RITORNO A ITACA (MA ERAN LE VIE NUOVE)
Il discorso ai suoi supporter e il tentativo di risalire nei sondaggi
Ulisse ritorna a Itaca. Dopo aver sbaragliato i Proci, un porto sicuro. Il suo rifugio. La sua terra. Con lo stesso spirito, nel suo piccolo, Matteo Renzi è tornato domenica al circolo fiorentino «Vie Nuove». Dove è iscritto. Dove conosce tutti e tutti gli vogliono bene.
Dove all’occorrenza — siamo a Firenze non a caso — dopo la carezza segue uno schiaffo. Ma piccolo piccolo, con affetto, eh. Perché il sottinteso è che, sì, lui parla parla parla. Stordisce e incanta con le sue chiacchiere. Ma ad ascoltare non ci pensa neppure. In effetti, come ricetrasmittente lascia parecchio a desiderare. Per trasmettere, trasmette, eccome. Ma «riceve», quando si risolve a «ricevere», a ogni morte di Papa. Anche se dopo aver detto la sua per un’oretta scarsa, per la seconda ora — miracolo! — si è messo in ascolto. Più che stanco — perché, beato lui, è dotato di batterie Duracell — all’inizio è apparso teso. Forse sommerso per un istante dalla folla dei ricordi. Proprio qui, in questa storica sede delle Vie nuove, per lunga pezza ha celebrato i suoi trionfi.
La sua ascesa al potere è stata tanto fulminea quanto duratura. Almeno per un buon tratto di strada. Consigliere provinciale. Presidente della Provincia. Segretario del Pd per due volte dopo essere stato dapprima battuto alle primarie da Pier Luigi Bersani, che ha piantato baracca e burattini e ha fondato con altri capitani più o meno coraggiosi un nuovo partito. Presidente del Consiglio e, dopo la caduta, tenace sponsor del governo fotocopia presieduto dal «moviola». Ma sì, Paolo Gentiloni. Un tipo, diavolo d’un uomo, che riesce quasi sempre a non essere avvistato dai radar. La quiete dopo tempesta renziana. Ma la bruciante sconfitta al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 è stata per Renzi una ferita che non si è mai cicatrizzata. Di qui una metamorfosi che ha dell’incredibile. Il personaggio solo al comando scompare di punto in bianco per far posto a un uomo indeciso a tutto. Ogni «sì» è seguìto da un «ma» grosso come una casa. E allora sì al governo fotocopia Gentiloni perché ce l’ha messo lui. Purché, ecco, si faccia da parte quanto prima. Come un Napoleone in formato sedicesimo, lui non ci sta a passare dagli altari alla polvere. Vuole, fortissimamente vuole, la rivincita. Anche a costo di mettersi contro tutto e tutti. A cominciare dal presidente Sergio Mattarella, che da buon giurista tiene le forme in gran conto e mal sopporta i protagonismi del segretario fiorentino. Renzi scalpita, pretende di andare al voto al più presto. Addirittura fissa la data sostituendosi senza tanti complimenti al Quirinale. Non riesce a stare nascosto nella buca del suggeritore. Ama le luci della ribalta solo per lui. E immagino che di notte abbia un incubo ricorrente. Lo sveglia il brutto sogno di italiani che, dopo la sua lunga assenza da Palazzo Chigi, esclamano a gran voce: «Renzi chi?». E allora la sua indecisione si spiega. Da una parte c’è il carattere che dice: «IO, IO, IO». Tutto maiuscolo, come usava per il Duce. Dall’altra c’è l’opportunità politica che dice, ma con una vocina che non potrebbe essere più flebile: «Noi, noi, noi, la squadra, Gentiloni, il governo che ha operato bene». Perché l’importante — afferma di continuo mordendosi la lingua — non sono io ma una serie di ministri competenti. Mandati avanti a bella posta. E anche su questo, soprattutto su questo, ha insistito Renzi nella sua tana prediletta. Così ha delineato una summa divisio. Di qua uomini buoni a nulla e capaci di tutto come i Pentastellati, che non ne indovinano una neppure per sbaglio e non sarebbero in grado di amministrare neppure un condominio. Sono sue testuali parole. Di qua ministri come Minniti, Padoan, Calenda, tanto per non fare cognomi, che hanno dimostrato di saperci fare. E c’è chi aggiunge anche Delrio, noto ai più per aver fatto lo sciopero della fame al fine di ottenere l’approvazione della chiacchieratissima legge sullo ius soli. Che avrebbe fatto scendere il Pd sotto il 20%. Tutto giusto, per carità. Ma questa tesi potrebbe essere rovesciata come un guanto perché non è tutt’oro quel che luccica. Siamo giusti. Non è che nel mitico giglio magico siano tutti dei Cavour, dei Crispi, dei Giolitti, tanto per parlare del passato remoto. E la riprova l’ha fornita lo stesso Renzi quando all’improvviso ha avuto la poco felice idea di prospettare — così, tanto per dire — un sondaggio su Valeria Fedeli. Per chi non lo sapesse, perché come si dice a Napoli nessuno nasce imparato, ministro — anzi ministra, sennò la Boldrini chi la sente — dell’Istruzione. Dopo che a questo Dicastero si erano avvicendati personaggi come Croce, Gentile, Valitutti, Spadolini. E scusate se è poco.
Orbene, in sala nessuno, ma proprio nessuno, ha fatto salti di gioia non appena è stato evocato il nome di tanta ministra. Per la serie: medice, cura te ipsum. Qui e ora Renzi ha le sue gatte da pelare. I postulanti sono tanti e le poltrone a disposizione non saranno più quelle di una volta. E i malumori nel partito non si contano. Anche perché i sondaggi sono in picchiata. Lo sa bene il diretto interessato. E, proprio per questo, anche domenica ha mobilitato come meglio non avrebbe potuto i suoi. Ha scacciato come una mosca molesta il pessimismo della ragione e ha puntato tutto sull’ottimismo della volontà di gramsciana memoria. La tensione a poco a poco si è stemperata e, finalmente rilassato, il segretario con la sua parlantina ha dato il meglio di sé. Battute a non finire. Gag di continuo che neppure Leonardo Pieraccioni. Ecco, se un domani dovesse appendere la politica al chiodo — cosa che non gli auguro perché, con quel che passa il convento, lui rimane una risorsa — potrebbe diventare un astro nascente del teatro e della cinematografia. Una sorta di Grillo alla rovescia. Vedi caso, il fondatore dei Cinque Stelle è passato dal teatro alla politica. E già se n’è pentito.
Metamorfosi Dopo la sconfitta referendaria, l’uomo solo al comando è diventato un uomo indeciso a tutto: ogni suo sì è seguito da un grande ma Compagni di viaggio La divisione di fondo, secondo Renzi, è quella tra capaci e incapaci, cioè i grillini. Ma non è che tutti nel Giglio magico siano dei Cavour...