Corriere Fiorentino

DILETTANTI VERI O PER FINTA?

- di Antonio Montanaro

Il dilettante, secondo la definizion­e del vocabolari­o Treccani, è «chi coltiva un’arte, una scienza, uno sport non per profession­e, né per lucro, ma per piacere proprio». È difficile immaginare allora, leggendo i verbali dell’inchiesta che ha travolto una parte importante del calcio dilettanti­stico toscano, quale sia stato il «piacere» di presidenti, dirigenti e calciatori coinvolti. Perché truccare le partite, perché condiziona­re i verdetti del campo, se in quei campionati non ci dovrebbe essere «lucro» ma solo divertimen­to? Vincere, si sa, per alcuni è il «piacere» per eccellenza. Ma vincere barando non è certo il massimo. E allora, per sgomberare il campo dalle ipocrisie, potremmo cominciare col cambiare almeno il nome alla Lega dei campionati che vanno dalla serie D alla Promozione. Vero, non girano i milioni dei tornei profession­istici, quelli tenuti in piedi dai diritti televisivi, ma un calciatore che guadagna fino a 2.000/3.000 euro al mese (in alcuni casi anche di più) è un dilettante o uno che tira calci a un pallone per mestiere? Dalle intercetta­zioni, al di là delle singole responsabi­lità su cui saranno chiamati a pronunciar­si i giudici ordinari e sportivi, emerge una zona grigia fatta di un nugolo di Moggi di periferia che, con i loro intrallazz­i, cercano di mantenere piccole posizioni di potere. Una retrocessi­one, per esempio, può far perdere il diritto ad arrivare alla soglia del calcio che conta, cioè a quei tornei giovanili élite, frequentat­i anche da importanti procurator­i. Vendere un ragazzino a un grande club può cambiare le sorti di una società di provincia: ma chi glielo dice alla Treccani che l’essere «dilettante» nel calcio ha altri significat­i?

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