Corriere Fiorentino

Il silenzio di Amelio, sopravviss­uto al lager

Militare di Empoli, rifiutò Salò e uscì vivo da un lager in Germania Amelio tenne nascosta la sua storia, che ora viene alla luce. Grazie alle sue lettere e alla nipote

- di Viola Centi

Tornato da un campo di concentram­ento, ha tenuto quel segreto fino alla morte, nel 1978. E solo dopo la scomparsa della moglie, una nipote ha scoperto la storia di Amelio, leggendo le sue lettere dal lager.

«Deportazio­ne» era una parola proibita, a casa di Amelio Parrini, a Empoli nella frazione di Terrafino. «Deportazio­ne», per lui, che era un militare del Regio Esercito d’Italia, equivaleva a «tradimento». Un segreto, quei due anni passati allo Stammlager XI vicino a Hannover, sepolto in un mucchietto di lettere ingiallite, ritrovate solo dopo la morte della moglie, Anna, nel 2007. «Sapevamo qualcosa — racconta la nipote, Giovanna — ma ogni volta, il discorso veniva troncato. Abbiamo ricostruit­o tutto dopo».

Ogni volta che qualcuno provava a chiedere, o quella parola, «deportazio­ne», si affacciava in un discorso in casa, gli sguardi si abbassavan­o e il dialogo si troncava. Amelio muore investito da un motorino nel 1978, la moglie, Anna, nel 2007. Giovanna va nella loro casa, come si fa dopo un lutto, a fare la cernita di mobili, soprammobi­li, abiti, e trova quelle lettere, insieme a un «passaporto», rosso, con impressa un’aquila nazista, una svastica, scarabocch­iate. «La gavetta di quando era militare, la tenevano in cucina, ma non ci avevamo mai fatto troppo caso». «Anna! E torno! Morto il...». Un’incisione, su quella gavetta, probabilme­nte fatta in un momento di sconforto. Quei momenti in cui Amelio non pensava che sarebbe tornato a casa, quando in ex Jugoslavia o in Grecia, a seguito delle truppe italiane, combatteva, eseguiva gli ordini. Fino all’otto settembre del ‘43, quando ad Amelio e altri militari viene chiesto di sottoscriv­ere un giuramento diverso. Non più fedeli alla propria patria, non più agli ordini dei loro generali, ma all’esercito della Repubblica Sociale, ai nazisti, a Hitler. Ma Amelio, come tanti altri, dice di no. E viene deportato.

A ricostruir­e tutta la storia di Amelio ci ha pensato, Asia la figlia di Giovanna. Colpita da quelle lettere ingiallite, dalle parole di una sofferenza lontana nel tempo, ha raccontato tutto prima all’esame di terza media, poi nella tesina della maturità. «Vicende come questa — dice la studentess­a — meritano di essere tramandate, per quanto possano sembrare più grandi di noi. Non ho mai conosciuto lo zio di mia madre, le mie orecchie non hanno mai sentito la sua voce, i miei occhi non hanno mai incrociato i suoi. Ma conosco il suo dolore. La sua speranza. Il suo amore infinito per quel “Carissimo padre” e per la sua “Cara Anna”».

Una diciannove­nne che si trova a far vivere un pezzo di memoria accantonat­a, forse per rispetto per tutti quelli che, a differenza sua, non sono tornati vivi da un campo di concentram­ento. Luoghi di negazione di ogni forma di umanità, dove l’unico appiglio, l’unica speranza era un pezzo di carta. «Ma Anna? Non ho sue notizie, non si è sposata?», chiede alla nonna, la Nina, ome la chiamavano in famiglia. Chiede continuame­nte come stanno a casa, come se la speranza di trovare ancora i propri affetti, potesse in qualche modo permetterg­li vuole parlare. Lui, militare tornato dal campo di concentram­ento Stammlager XI, sui libri di storia non esiste, come non esistono i suoi commiliton­i. C’è voluta una ragazzina di 19 anni, per trovare il coraggio di raccontare. «Quelle parole, quelle lettere, sono state il suo appiglio, la sua salvezza e sono diventate mio piccolo tesoro», conclude Asia. di andare avanti un giorno, due, fino alla lettera successiva. «Penso che tra non molto sarò tra le tue braccia, caro babbo, e quale gioia sarà!». «Conosco il tremolio di quelle parole — spiega Asia — il loro tratto veloce, frettoloso. Conosco il desiderio di poter sentire nuovamente il calore della propria casa, dei propri affetti. Lui, un uomo, mio zio, faccia a faccia con se stesso. Attaccato alla vita. Quella vita che non può farsi portare via. Quella vita stravolta dal male della guerra. Emozioni che si rincorrono. Riga dopo riga. Lettera dopo lettera. Inconsapev­olmente lui si racconta. Nessun artificio. Il suo cuore, una penna e un foglio. Quasi fosse un modo per sentirsi vivo. Per dire “io ci sono. Io esisto. Io resisto. E lotto contro questa crudele realtà”. Un modo per mantenere intatti quei legami certi. Indissolub­ili. Quei legami fondamenta­li alla propria esistenza». Un uomo, un militare, che come un bambino, pensa all’abbraccio di un padre e all’amore della donna che, alla fine, lo ha aspettato per più di tre anni.

Amelio torna a casa, sposa Anna, ma di quegli anni, non

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Amelio Parrini, detenuto in un lager in Germania
 ??  ?? A sinistra Amelio Parrini, morto nel 1978 e deportato in Germania dopo aver rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò Sotto la nipote Asia che ha raccontato la sua storia ricostruit­a dalle lettere
A sinistra Amelio Parrini, morto nel 1978 e deportato in Germania dopo aver rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò Sotto la nipote Asia che ha raccontato la sua storia ricostruit­a dalle lettere
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 ??  ?? Alcune delle lettere ritrovate in casa
Alcune delle lettere ritrovate in casa
 ??  ?? Anna col padre nel giorno delle nozze
Anna col padre nel giorno delle nozze
 ??  ?? Il «passaporto» del lager nazista
Il «passaporto» del lager nazista

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