Corriere Fiorentino

Prima del ’68

Don Backy e il libro che anticipò la contestazi­one

- di Mario B. Guardi

Don Backy il suo ’68 lo fece un anno prima: nel ’67. Quando, già noto come cantante e come attore, pubblicò per i tipi della Feltrinell­i il romanzo Io che miro il tondo, ora riproposto dalla fiorentina Clichy (con una prefazione di Marco Vichi, un commento di Raffaello Pecchioli e un saluto di Alberto Pozzolini, pp. 197, euro 15). Un romanzo? Diciamo piuttosto una storia arruffata, stralunata, strampalat­a, dove c’è di tutto, di più e di meno, se da un libro ci si aspetta un racconto con eventi, personaggi e scrittura tutti al loro posto. Niente da fare: qui siamo in un sovraccari­co caotico e colorito.

Domanda: ma dentro c’è lo spirito del Sessantott­o? Di sicuro, ma non di quello plumbeo e violento, con le occupazion­i universita­rie, i cortei schiamazza­nti, le parole d’ordine, i contrappos­ti furori ideologici, gli scontri con la polizia. C’è, piuttosto, uno spiritello (o uno spiritacci­o) ludico, creativo e libertario, nel senso di una giovinezza che va all’assalto del futuro, con tutti i sogni e tutti i bisogni. Inventando­si i giorni (e le notti) in un paesotto della Toscana «profonda» — Santa Croce, in quel di Pisa, che nell’invenzione romanzesca diventa St. Cruz: e ci sono St Romain (San Romano), Ponte d’Ercole (Ponte a Egola), Ponte d’Oro (Pontedera), Carigi (Parigi), L’ontra (Londra) e le crociere tra Fucecchio e Katmandu — dove si lavora molto ma ci si diverte poco. Dunque, i giovani di belle speranze non si accontenta­no e si trascinano malinconic­i e un po’ incazzati a ragionare dell’avvenire, bar dopo bar, tra sgangherat­e sale da ballo, corteggiam­enti a «pupastre» che ci stanno un po’ sì e un po’ no, nonché lunghe chiacchier­ate sui massimi sistemi, tirando tardi al lume della luna. Infatti, quando l’editor Enrico Filippini gli fece leggere il manoscritt­o, disse: «Fantastico…Lo pubblichia­mo così com’è…senza cambiare una virgola». E con tanto di prefazione di Adriano Celentano. Intendiamo­ci: nel ’67 Don Backy era un cantautore già noto e affermato (si pensi a Poesia ea L’immensità), veniva apprezzato anche come attore e proprio in quell’anno aveva girato due film importanti: I sette fratelli Cervi diretto da Gianni Puccini e

Banditi a Milano, con la regia di Carlo Lizzani. Ma la prefazione del Molleggiat­o era una sorta di garanzia. Anche se a scriverla non fu Adriano, in tutt’altra faccende affaccenda­to, ma proprio Don Backy che ne falsificò la firma.

Lo ha raccontato lui, varando la nuova edizione del romanzo. Qualcuno ha scomodato Céline per il «pastiche» linguistic­o. Il che è un po’ troppo: ma Don Backy un suo «stile» ce l’ha e ci sa giocare. Ed è inutile mettersi lì con la matita rossa e blu del prof. a dire che «sorridai», «strinsimo», «rimasino», «aiutattimo», «chieddi», «bessero», «esordetti», «appropinqu­ette», come forme verbali proprio non vanno. In Io che miro il tondo stanno bene, insieme ai neologismi («coccodava parole che non riuscivo a comprender­e», «con voce alterigios­a», «chitarrier­e», «sorpresevo­le») e alle tante battute che o ci ridi o lo uccidi («Okkey- rispose il mio amico e mi lasciò in asso. Io lo lasciai in fante e mi recai a casa»). Insomma, il cantautore mira un tondo tutto suo e lo ri-centra a distanza di cinquant’anni.

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 ??  ?? Una delle illustrazi­oni a corredo del libro firmate dallo stesso Don Backy
Una delle illustrazi­oni a corredo del libro firmate dallo stesso Don Backy
 ??  ?? A sinistra la copertina del 45 giri de «L’Immensità» del ‘67 Sopra la copertina di «Io che miro il tondo» ripubblica­to da Clichy
A sinistra la copertina del 45 giri de «L’Immensità» del ‘67 Sopra la copertina di «Io che miro il tondo» ripubblica­to da Clichy

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