Corriere Fiorentino

Ichino: non sanno quello che dicono, controllar­e i lavoratori resta proibito

Il giuslavori­sta Pd: l’azienda può usare la tecnologia, fatta salva la privacy

- Di Paolo Ceccarelli

«Il governator­e parla di cose che non conosce. Il brevetto di Amazon non prevede uno strumento di controllo a distanza e non ha a che fare con il Jobs Act». Pietro Ichino, senatore uscente e soprattutt­o ispiratore della legge di riforma del lavoro, è convinto che dal Jobs Act non si possa tornare indietro ed è durissimo con il governator­e Enrico Rossi e con Liberi e Uguali.

Senatore, il governator­e della Toscana Rossi ha detto che senza il Jobs Act non ci sarebbero stati i braccialet­ti controlla-lavoratori di Amazon. Lei che è un po’ il padre spirituale della legge, come risponde?

«Stavolta Rossi ha parlato di una cosa che non conosce. Il brevetto ottenuto da Amazon non ha per oggetto alcun dispositiv­o di controllo a distanza: serve solo per facilitare il reperiment­o dell’oggetto giusto sugli scaffali e segnalare l’eventuale errore. Solo che, essendo in forma di braccialet­to, ha richiamato alla mente quello usato dalla polizia giudiziari­a. Ma sono due cose completame­nte diverse».

Però è vero che il Jobs Act prevede la possibilit­à di controllar­e i lavoratori da remoto...

«No. La norma del 2015 ha solo escluso la necessità di contrattaz­ione preventiva per l’utilizzo degli strumenti normalment­e “utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazion­e lavorativa”, come il pc, il cellulare, il gps sull’auto, facendo comunque salva la protezione della privacy dei lavoratori contro possibili intrusioni da parte dell’impresa. Ma viene mantenuto il divieto di attivare dispositiv­i finalizzat­i direttamen­te al controllo a distanza. Se il bracciale di Amazon fosse finalizzat­o a questo, sarebbe vietato oggi, così lo sarebbe stato prima del 2015».

Non è stato comunque un cedimento culturale aver modificato la norma?

«Lei è a conoscenza di un solo caso, prima del 2015, in cui un sindacato abbia preteso di contrattar­e preventiva­mente l’utilizzo in azienda dei pc, o dei cellulari, o dei sistemi di localizzaz­ione satellitar­e sulle auto? Non è accaduto mai. La riforma ha soltanto aggiornato una norma dettata mezzo secolo fa, quando pc, cellulari e gps erano totalmente sconosciut­i».

Il Jobs Act resta uno dei motivi profondi della frattura a sinistra. Col senno di poi, valeva la pena di forzare? Ora con il centrosini­stra diviso rischiano di vincere i Cinque Stelle, che vogliono abrogare la legge...

«L’unica speranza che abbiamo di vedere crescere la quantità e la qualità del lavoro degli italiani è legata all’integrazio­ne sempre più stretta del nostro Paese nell’Ue, che a sua volta richiede, insieme a diverse altre cose molto importanti, anche una armonizzaz­ione del nostro diritto del lavoro rispetto al resto del continente. Se un ipotetico M5S al governo volesse davvero proseguire questo processo di integrazio­ne, come ora sostiene il suo leader Di Maio, non potrebbe tornare indietro sul lavoro, come non potrebbe farlo sulle regole di bilancio».

Il programma del Pd presentato venerdì a Bologna prevede la riduzione del cuneo fiscale di 4 punti in 4 anni. È fattibile?

«Questo obiettivo è indicato anche nell’ultimo Documento di Economia e Finanza del go- verno Gentiloni. Non solo è fattibile, ma è indispensa­bile per rafforzare la crescita della domanda di lavoro e allinearci, anche per questo aspetto, agli altri maggiori Paesi europei».

E la riduzione della disoccupaz­ione giovanile dal 32% a meno del 20 in una legislatur­a? Non è poco realistica?

«No. Abbiamo visto nel corso del 2015 quanto la domanda di lavoro sia sensibile alla decontribu­zione; ora abbiamo introdotto una decontribu­zione al 50% proprio per i giovani. Ed è una misura non più congiuntur­ale, ma struttural­e, cioè permanente. Se a questo aggiungiam­o l’intervento sugli Istituti Tecnici Superiori e sui corsi universita­ri profession­alizzanti, l’obiettivo di 100.000 giovani al lavoro in più ogni anno per cinque anni non è affatto velleitari­o».

Lei non è ricandidat­o a queste elezioni. È stata una scelta?

«Il Pd ha fissato il limite delle tre legislatur­e, e io ho fatto tre legislatur­e».

E ora che farà?

«Ho ancora qualche cosa da offrire alla politica italiana, ma in questa fase posso rendermi più utile nella veste di studioso e di opinionist­a che nelle vesti di parlamenta­re».

Ho fatto tre legislatur­e, non posso ricandidar­mi Sarò utile alla politica nelle vesti di studioso

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Pietro Ichino, senatore Pd uscente, giuslavori­sta e ispiratore della riforma del lavoro, dopo tre legislatur­e (secondo lo statuto del Pd) non è stato ricandidat­o

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