Corriere Fiorentino

Un’uscita a senso unico

- La piazza del direttore Paolo Ermini Mario Lancisi

Anche qui, come nella città labronica, la crisi viene da lontano. A partire dagli anni Settanta quando a Pisa si registrò una deindustri­alizzazion­e precoce e rapida. E gli operai diventaron­o in parte impiegati in una città di servizi (l’università, la Normale, la Sant’Anna, il Cnr, l’ospedale e l’aeroporto) e , in parte, anche commercian­ti. Con un turismo che fatica a decollare come potrebbe. «Oggi Pisa somiglia piuttosto a Strasburgo», sottolinea Guelfo Guelfi, protagonis­ta del ’68 pisano. E Davide Guadagni, gran conoscitor­e della città e attuale portavoce del rettore dell’università Paolo Mancarella, aggiunge: «Pisa è diventata una città dal posto sicuro e ciò l’ha portata a sedersi, a diventare pigra. La classe dirigente di sinistra ha governato mediamente bene ma, salvo rari sprazzi, senza inventiva. Senza un progetto e una capacità di creare un nuovo modello economico e culturale».

Samuele Agostini, geologo del Cnr e pd non renziano, da anni denuncia l’immobilism­o della sinistra pisana. Che ha occupato le poltrone delle molte aziende pubbliche, magari anche amministra­ndo bene, ma finendo così, a torto o a ragione, per essere vista come una casta chiusa e immobile. Nel frattempo il collegamen­to del mondo del sapere con la politica e l’economia di Pisa si è fatto più debole e sfilacciat­o, osserva Emanuele Rossi, prorettore vicario del Sant’Anna. Due città in una. La cittadella del sapere e la città dei pisani sempre più vecchia, svuotata. Con problemi molto sentiti, come quello della sicurezza. Così in vista delle prossime elezioni comunali la posta in gioco è se la voglia e la necessità di cambiament­o possono essere ancora interpreta­ti dal centrosini­stra oppure Pisa, come le altre città della costa — Grosseto, Livorno e Carrara — finirà per voltare pagina in una sorta di ’68 rovesciato.

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