Cupola cinese, tutti scarcerati «Non è mafia»
Il racket di droga e prostitute a Prato. Ai domiciliari col braccialetto il «capo dei capi»
Il tribunale del Riesame, a sorpresa, ha scarcerato tutti i cinesi coinvolti nell’inchiesta sulla mafia a Prato. Per i giudici non c’è l’associazione mafiosa. Il presunto boss Zhang, in carcere dal 18 gennaio, è ora ai domiciliari col braccialetto elettronico.
Il colpo di scena che nessuno si aspettava è arrivato a sorpresa ieri pomeriggio. Il tribunale del Riesame ha scarcerato tutti i cinesi di Prato che erano stati arrestati il 18 gennaio nell’ambito dell’inchiesta coordinata dalla Procura antimafia di Firenze sul clan che gestiva bische clandestine, droga, prostituzione, racket, usura e contraffazione e che teneva in scacco la Chinatown pratese.
I giudici hanno annullato il capo di imputazione più importante, quello dell’associazione mafiosa, e questo ha permesso agli indagati di uscire dal carcere. Finisce così ai domiciliari con il braccialetto elettronico l’uomo che aveva conquistato il monopolio del trasporto di merce cinesi e che era stato dipinto come il «capo dei capi». Naizhong Zhang, 57 anni, originario della provincia dello Zhejian, fino a ieri era detenuto nel carcere di San Gimignano.
Bisognerà adesso attendere le motivazioni dei giudici — Elisabetta Pioli, Monica Tarchi e Dolores Limongi — per capire cosa non li abbia convinti in quell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Alessandro Moneti che aveva portato in carcere 33 cinesi, accogliendo le richieste dei pm Eligio Paolini, Ettore Squillace Greco e Tommaso Coletta. È prevedibile che la Procura, dopo aver letto le motivazioni dell’annullamento, ricorra in Cassazione (è accaduto altre volte che i giudici supremi abbiano ribaltato i provvedimenti del Riesame). Ed è anche prevedibile che la partita più importante si giochi sulle traduzioni delle intercettazioni. In diverse conversazioni gli indagati usano la parola mafia.
Grande soddisfazione degli avvocati difensori degli indagati, tra cui Melissa Stefanacci, Costanza Malerba e Federico Febbo che già in occasione dell’interrogatorio di garanzia davanti al gip si erano lamentati del fatto che l’ordinanza di custodia non fosse stata tradotta in cinese.
Il gip aveva disposto anche il sequestro preventivo di otto società, oltre a veicoli e conti correnti.
Solo giovedì scorso il Consiglio comunale pratese aveva approvato all’unanimità l’istituzione di una commissione speciale di studio sulla presenza della mafie in città. La proposta era stata avanzata dal consigliere Aldo Milone di «Prato libera e sicura» (ex assessore nelle precedenti giunte di centrosinistra e centrodestra). Il gruppo di lavoro non avrà gettoni di presenza e vedrà la partecipazione di esperti, forze dell’ordine e dipendenti comunali che si occupano di anticorruzione. L’ordine del giorno era stato approvato alla presenza del procuratore capo Giuseppe Nicolosi, che ha richiamato per l’ennesima volta la città «alla lotta all’omertà», e dell’assessore regionale Vittorio Bugli. La proposta di Milone della commissione speciale era arrivata all’indomani dell’operazione della Squadra mobile di Prato.