Corriere Fiorentino

Chioccioli: «Fatti gravissimi, che fanno scappare gli sponsor»

- Francesco Caremani

«Non voglio giudicare i fatti di Lucca, sarà la magistratu­ra a dare tutte le risposte. Ma ritengo che quella del doping sia una strada sbagliata a prescinder­e». Franco Chioccioli, valdarnese, classe ’59 e vincitore del Giro d’Italia del 1991, ha fatto delle due ruote la sua vita. Oggi è direttore sportivo e team manager della Futura Team Rosini. Il trionfo in maglia rosa è arrivato infatti a 32 anni, con la maturità che l’ha portato a mettere in fila tutte le sue qualità. È il suo diciassett­esimo anno da ds tra i dilettanti. Con lui cerchiamo di entrare in questo mondo, per comprender­ne le criticità che portano giovani atleti ad accettare di rischiare la vita assumendo sostanze proibite e pericolose. Spesso con l’avallo dei genitori.

Qual è lo stato dell’arte del ciclismo dilettante?

«Mancano gli sponsor, non

ci sono più quegli investimen­ti che sostengono l’attività agonistica. Vale per la Toscana, così come per la Lombardia e il Veneto, le altre due regioni leader».

La regola degli Under 23 aiuta?

«È ipocrita, si parla di tutelare i giovani, ci si riempie la bocca di buoni propositi, e poi si pretende che siano dilettanti per pochissimo tempo, è controprod­ucente per tutto il movimento. Ci vorrebbe una categoria unica, dai 18 ai 25».

Le intercetta­zioni di Lucca ci riportano indietro nel tempo, caso isolato o punta dell’iceberg di un sistema?

«Credo di no, voglio credere di no, e ha ragione Ivano Fanini quando dice che questo è lo sport più controllat­o dal punto di vista del doping, qualcuno può anche tentare di sfuggire alle ispezioni ma non la massa».

Il dubbio, però, resta... «Paghiamo la storia degli ultimi vent’anni, scandali che hanno allontanat­o gli sponsor e messo in difficoltà il ciclismo».

 Non credo ci sia un sistema organizzat­o nella diffusione di sostanze dopanti Ma questa è una strada sbagliata La regola dei 23 anni è sbagliata e non aiuta le società

Quanto costa una squadra dilettante come la Futura Team Rosini?

«Dipende da ciò che si vuole fare. Il budget oscilla dagli 80 ai 200mila euro l’anno, non esiste una cifra standard in uno sport come il ciclismo, come credo pure nelle altre discipline».

Quanti atleti corrono per lei?

«Dieci, che sono abbastanza. Ci sono squadre anche con 24-26, ma servono solo se si corrono sessanta gare in un anno; dipende anche dal tipo e dalla qualità del lavoro che si vuole fare con i ragazzi».

Loro cosa ci guadagnano?

«Niente. Si corre per passione, perché piace andare in bicicletta, ci si confronta e si scopre se si hanno le qualità per diventare profession­ista. Il materiale è tutto a carico della società e le eventuali vincite a questi livelli si riducono a qualche centinaio di euro».

Alcuni pensano che un mercato dei ciclisti, come nel calcio, aiuterebbe. Cosa ne pensa?

«Ritengo sia una sciocchezz­a. I ragazzi fino a oggi hanno pagato per passare nei profession­isti. Vero è che in Italia non c’è più una squadra, prima ne avevamo 18, chi vuole sfondare va all’estero».

La sua ricetta per riportare in auge questo sport?

«Non esiste. Bisognereb­be tornare indietro di 30-40 anni, stare in mezzo alla gente, nelle piazze, oggi è diventato difficile avvicinare un corridore del Giro, ai miei tempi no e questo condiziona l’amore e la passione per le due ruote. Senza contare che si pedala per strada e non tutte le famiglie hanno piacere che i propri figli lo facciano».

Cosa insegna ai suoi ragazzi?

«A essere atleti, fino in fondo: allenament­o, alimentazi­one, vita senza eccessi. Poi se vengono a mangiare una pizza con me devono essere reperibili, più di chi sta agli arresti domiciliar­i».

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Franco Chioccioli

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