Il Cenacolo mai visto E la riforma di Andrea
L’altra Firenze A Sant’Apollonia una «Ultima cena» rivoluzionaria. Di inedito realismo Tinte scure, gesti esasperati: c’è un’arte nuova nei volti del Castagno
Proprio lui, il «micidiale e traditore» che Vasari disprezza, l’ex pastorello sceso dalle falde del Falterona per impugnare la tavolozza, così bravo da guadagnarsi — sedicenne — la commissione dei «ritratti d’infamia» sui muri del Bargello. Eppure è lui, Andrea del Castagno, a concepire il Cenacolo così come lo conosciamo; lui a ribaltare la decorazione trecentesca nei refettori dei conventi, scalzando l’Ultima Cena dalla predella, e sbattendola in primo piano, a parete intera. Una vera rivoluzione iconografica.
Il luogo di questo colpo di mano è il Convento benedettino delle monache di S.Apollonia: spazio di clausura così assoluto che fino al 1808 — epoca di soppressioni napoleoniche — del lavoro di Andrea non giunge notizia. Nessuno ne ha mai parlato, non è citato nelle fonti (anche se è certo, gli artisti contemporanei sbirciavano e sapevano). Bisogna arrivare alla visita a Firenze di Maria di Russia, nel 1864, per strappare il dipinto all’oblio della Storia: la nobildonna ha sentito sussurrare meraviglie di quest’opera, e vuole vederla. Così il neonato stato unitario italiano prende coscienza di ospitare in un magazzino militare — chiuso al pubblico — uno straordinario affresco del Rinascimento. In «soli» 30 anni la rimessa è trasformata in un piccolo Museo, dedicato all’artista. Come S. Marco sta all’Angelico, così S. Apollonia sta ad Andrea del Castagno. Qui vengono raccolte molte delle sue poche opere, si comincia a studiarlo. La sua (s)fortuna critica viene rivista.
Ragazzo precoce, dopo un’infanzia fra gli aspri pascoli dell’Alpe di San Benedetto, Andrea scende in città portandosi dietro il luogo di nascita nel nome: Castagno. A Firenze, è Cosimo il Vecchio a regalargli una chance — o una maledizione. Gli commissiona i ritratti d’infamia per gli avversari politici che avevano tramato per eliminarlo, e che sono stati spazzati via al suo trionfale rientro, nel 1434. Nei «quadri segnaletici» effigiati dal pittore sulla facciata del Bargello, i latitanti vengono mostrati al popolo «appiccati» per un piede o per la gola. Il dramma impregna la pittura del giovane Andrea, per non lasciarla più. È talmente bravo a far rabbrividire le folle, che presto il suo nome comincia a circolare. Diventa «Andreino degli impiccati», titolo velenoso destinato a restargli appiccicato per la vita. E oltre.
Il Vasari continuerà ad alimentare la leggenda del pittore maledetto, accusandolo dell’omicidio dell’amico fraterno, il pittore Domenico Veneziano. Motivo? L’invidia, che albergherebbe nel suo «spirto crudele in tutto, e diabolico». Secondo l’aretino, lo «sciaurato Andrea» non sopporta la popolarità di Domenico, che gli è stato maestro e collega. La diversità di stile è evidente: alle tinte scure, i gesti esasperati, il realismo di Andrea, si contrappongono la luce e la dolcezza di Domeni- co. Sembra la scuola del disegno (fiorentina) contro la scuola del colore (veneziana). Magari a un certo punto i rapporti fra i due deragliano anche. Ma il presunto assassino muore di peste 4 anni prima della vittima: non c’è nessun omicidio, l’abbaglio del Vasari è fragoroso.
Collerico, forse anche violento. Eppure quando entra a S.Apollonia questo dipintore di morituri fa un miracolo. Divide la parete in due, sradica la Crocifissione da secoli di supremazia iconologica relegandola in alto (accanto a Deposizione e Resurrezione) e cede il piano nobile a un’animata tavolata di Gesù con i discepoli, inquadrata in una prospettiva perfetta. A parete piena. Una cosa mai vista prima di allora. Rivoluzionaria. L’artista nato a Castagno pennella questi apostoli che sembrano filosofi, intenti a discutere intorno a un frugale banchetto: soggetto certo più appropriato per un convito religioso, ma all’epoca, è un vero capovolgimento di valori. Non è più il sangue di Cristo a riversarsi sul pasto delle monache, bensì la sua offerta di perenne alleanza. Da questo momento non si torna più indietro.
E così, mentre il convivio del piano nobile viene replicato sui muri di altri conventi cittadini da mani altrettanto (e più) illustri, la parte alta del racconto di Andrea sparisce. Anche materialmente. A S. Apollonia due finestre riversano secoli di pioggia e vento sul Signore crocifisso, deposto e risorto. Le immagini sbiadiscono, e alla fine vengono scialbate. Definitivamente rimosse dalla nuova narrazione. I militari di Vittorio Emanuele si trovano di fronte a un Cenacolo orfano del racconto primigenio. «Nonostante i vari interventi di recupero, il cattivo stato degli affreschi superiori spinge a concentrarsi in basso, sull’Ultima Cena, commenta Rosanna Caterina Proto Pisani, autrice di molte pubblicazioni su S. Apollonia. «Invece l’insieme di spazio, luce e colore fra sopra e sotto, immortala in una sola parete la realtà artistica rinascimentale della città». In effetti, guardando meglio, si scopre che Andreino degli Impiccati se la cava bene non solo con disegno e prospettiva, ma sa addolcire anche i colori, giocare con la luce. Il Vasari ha preso un altro granchio. In fondo anche Botticelli o Andrea del Sarto si erano ritrovati agli inizi della carriera a dipingere appiccati. Ma sono stati più furbi: hanno preso i soldi, facendo sapere che era stato un altro a fare il lavoro. Si chiama marketing.
18. Continua. Le puntate precedenti: il 23/3, 12/4, 6/5, 14/6, 14/9, 30/10, 20/11, 17/12 del 2016 e il 24/1, 11/2, 5/3 e 9/5, 8/6, 22/9, 14/11 2017; 3/01/, 30/1 2018
Una brutta fama Vasari lo aveva accusato dell’omicidio di Domenico Veneziano, ma prese un abbaglio