Bernardeschi-Milenkovic, il veleno e l’orgoglio viola
L’esultanza di Bernardeschi conferma una rottura con il calcio dei sentimenti
Il giorno dopo il ko con la Juve, in casa viola, oltre alla rabbia per le scelte arbitrali, resta la delusione per l’esultanza di Bernardeschi. Ma non solo. Perché c’è un’immagine che tira un po’ su: il testa a testa tra Milenkovic e Higuain.
«Sono riconoscente alla società, ma devo rispettare i miei tifosi». Federico Bernardeschi ha spiegato così, la scelta di esultare con tanto di ringraziamento rivolto verso il cielo mentre stringeva a sé la maglia bianconera. «Ha dimostrato l’uomo e il calciatore che è», gli ha fatto eco la sorella su Twitter che poi però ha rotto gli argini: «Ora tutti muti please, stiamo godendo come pochi». Gran classe, non c’è che dire, basta poi non lamentarsi delle reazioni sui social. Però il dopo gara di casa Bernardeschi ha almeno spazzato via ogni dubbio: il carrarino che il padre nei giorni del trasferimento alla Juventus non aveva trovato di meglio che paragonare a Roberto Baggio, in realtà di Roberto Baggio ha dimostrato di sapere poco o niente.
Certo, nessuno si aspettava che per asciugarsi inesistenti lacrime raccogliesse una sciarpa viola (anche perché nessuno gliela avrebbe mai lanciata), ma la freddezza con cui ha liquidato gli anni della sua adolescenza, ha stupito anche i più disincantati.
Per la verità a Firenze, in tanti il sospetto serpeggiava da tempo. E questo nonostante Bernardeschi avesse fatto di tutto per sembrare viola fino al midollo. Basta rileggere le sue parole di qualche anno fa, proprio al Corriere Fiorentino: «Dopo tanti anni che sono qui — sciolinava — è inevitabile che questa maglia sia entrata nel mio cuore, insieme alle persone e alla città. Come puoi non tifare Fiorentina? È impossibile». Non proprio gli stessi concetti di ieri. Ma quello era un altro momento della sua carriera, quando subito dopo il grave infortunio alla caviglia aveva bisogno di giocare e sentire l’appoggio di tutti. Qualche parola al miele insomma, in questo calcio senza memoria, che male poteva fare? E poi quelli viola erano i suoi tifosi del momento e i tifosi, si sa «vanno rispettati», almeno fino al prossimo cambio di maglia.
Tutto a suo modo coerente, dunque. L’ennesima conferma di un calcio che conosce poco il significato delle parole che utilizza e che ha scelto di mettere da parte i sentimenti. Una deriva da imputare, per una volta, non tanto alle società quanto ai calciatori. Certo, anche i club, qualche domanda dovrebbero porsela. Anche la Fiorentina che avrà pure incassato i ringraziamenti di Berna ma che non ha saputo trasmettere a un ragazzo che a Firenze è arrivato da bambino, la profonda connessione tra città e club. Non basta concedere la fascia di capitano se poi manca l’esercito. Tenerlo a mente potrebbe evitare altre delusioni.