«La legge c’è e funziona Ma i rischi vanno valutati anche dopo i processi»
La storia di Francesca Citi è tragicamente emblematica: 45 anni uccisa ieri dall’ex marito che non tollerava la decisione di lei di lasciarlo — il divorzio era del 2016 — esemplifica una sconvolgente evidenza che ci diviene più chiara grazie all’analisi che con noi ha condotto Teresa Bruno, presidente del centro antiviolenza di Artemisia a Firenze. Si tratta di un’analisi a caldo e dunque passibile di revisione e ripensamenti ma quello che dice fa molto riflettere. La premessa, per il ragionamento, è che va tenuta in conto l’evoluzione di questa storia di nonamore e violenza: il marito omicida-suicida, Massimiliano Bagnoli, era stato condannato per stalking pochi mesi dopo il divorzio, era poi stato allontanato dalla donna e dunque costretto ai domiciliari prima di tornare libero e uccidere Francesca. La sua pericolosità era stata riconosciuta e sanzionata. E però...
«Dopo le denunce degli stalker — è l’analisi della presidente di Artemisia — dopo eventuali misure cautelari ai loro danni, si va incontro a un periodo molto delicato in cui il monitoraggio di vittima e carnefice diventa irrinunciabile, deve essere costante e puntuale. E il perché è comprensibile. Chi fa azioni persecutorie nei confronti di un altro essere umano è qualcuno che non sa accettare e gestire il rifiuto. Ed è davanti a un rifiuto più grande (divorzio, allontanamento sino alla detenzione) che la sua violenza può manifestarsi in maniera più forte. Sino a toccare la tragedia». Come nel caso della vittima di ieri.
I tanti casi di femminicidio e di violenza contro le donne nella nostra regione (101 sono i femminicidi avvenuti tra il 2006 e il 2016 mentre dal 2009 al 2017 — con una crescita nell’ultimo anno del 22,5% — a un Centro antiviolenza si sono rivolte per la prima volta 18.939 donne quasi tutte vittime dei loro ex) insomma possono nascere anche da una mancanza di sufficiente controllo del quadro in cui si muovono gli attori di queste storie dal tragico epilogo, che comunque vanno segnalate alle forze dell’ordine. Non che sia semplice prevedere come muoversi. Le storie vanno viste caso, per caso.
Ma può servire sapere come si muove Artemisia che ha circa 1.300 accessi nel corso di ogni anno, non solo di donne anche se sono la maggior parte, ma anche di bambini e in genere di vittime di abusi: «Quando ci si trova davanti a casi del genere — spiega ancora Teresa Bruno — monitorare significa valutare giorno per giorno, come si comporta il persecutore e scegliere delle strategie che possono variare caso per caso». Nei casi più gravi si consiglia alla donna di lasciare la propria casa e di chiedere ospitalità nelle case -rifugio. E non è escluso che, dopo un periodo trascorso in queste strutture, sia opportuno cambiare abitazione, città, regione. Non basta: a molte donne, a quelle che restano a vivere nelle loro case, viene consigliato di non cedere mai alla richiesta di un incontro con carnefice, di non recarsi nei luoghi che frequenta e insomma di «cambiare abitudini». Perché dice ancora Bruno: «Dire che basta la denuncia è una semplificazione. Va valutato il rischio al di là delle misure che vengono messe in atto attraverso lo studio dei comportamenti».
Aggiunge uno spunto di riflessione anche l’avvocato Lisa Parrini, che si occupa di casi di violenza sessuale e di stalking, chiamando in causa il lavoro di professionisti come gli assistenti sociali. «Bisogna intervenire prima: è probabilmente compito degli assistenti sociali o di altri istituzioni che devono farsene carico — dice — ma quella sullo stalking è una buona legge: il legislatore ha cristallizzato e disciplinato un fenomeno che è emerso negli ultimi anni e ha previsto sanzioni adeguate. È stato previsto un reato che nasce dalle relazioni umane, quanto di più complesso possa esserci. Lo stalking, il femminicidio sono espressioni non di follia ma di una devianza che si innesca in una relazione».
Il problema in termini giudiziari — per il legale — è di chi deve applicare la legge e raccogliere le denunce: forze dell’ordine, magistrati, avvocati. Ma è anche un problema di raccordo tra uffici giudiziari. Perché spesso l’inghippo è nella burocrazia. «Capita che dopo la denuncia di una donna, la questura “ammonisca” lo stalker. Si tratta di un provvedimento amministrativo che vieta di avvicinarsi alla vittima, per annullare il quale è possibile ricorrere al Tar. Se nel frattempo, l’indagato viola quel divieto, scatta per lui la denuncia anche alla Procura della repubblica. Peccato che le indagini ricomincino da capo. È una stortura».
Bruno (Artemisia)
Dopo le denunce si va incontro a un periodo molto delicato, il monitoraggio di vittima e carnefice diventa irrinunciabile
Parrini (avvocato)
Il legislatore ha previsto un reato che nasce dalle relazioni umane, quanto di più complesso possa esserci