Corriere Fiorentino

«Noi due quella notte a Firenze»

L’inchiesta per stupro, le ragazze Usa al giudice: «Pensavamo: più sicure di così...»

- di Antonella Mollica

Le ragazze Usa: nell’auto dei carabinier­i avevamo fatto un video, sembrava tutto buffo... La notte in discoteca, il passaggio su un’auto di servizio, poi la violenza: il 22 novembre le due studentess­e americane che hanno denunciato due carabinier­i per stupro hanno risposto a tutte le domande su quella notte.

È stata una lunga maratona l’incidente probatorio delle due studentess­e americane di 20 e 21 anni che hanno denunciato due carabinier­i di violenza sessuale. Il 22 novembre le due amiche sono ritornate a Firenze per rispondere alle domande del giudice e degli avvocati dei militari. Quella sera, era il 6 settembre, erano entrambe ubriache. La mattina successiva le analisi hanno rilevato un tasso di alcol pari a 1,68 su una ragazza, 1,59 sull’altra. Dopo la pubblicazi­one, sul Corriere della Sera di ieri, del duello in aula sulle domande dei legali alle due giovani, pubblichia­mo le loro risposte durante l’incidente probatorio. Si tratta di una sorta di anticipazi­one del processo per evitare alle ragazze di tornare in tribunale a ripetere i loro racconti. L’udienza — a porte chiuse e in modalità protetta, proprio per tutelare le ragazze — avviene nell’aula bunker, quella nata per ospitare i processi contro il terrorismo.

Di fronte alle ragazze — sentite una alla volta ovviamente — solo il giudice Mario Profeta e l’interprete. Tutti gli altri sono fuori, seduti tra i banchi dell’aula grande da dove, attraverso un monitor, possono vedere le ragazze. Ci sono Pietro Costa, il carabinier­e più giovane, accompagna­to dagli avvocati Giorgio Carta e Andrea Gallori, ci sono le avvocatess­e Cristina Menichetti e Beatrice Mazzetti che difendono l’altro militare, Marco Camuffo, ci sono gli avvocati che assistono le due ragazze, Gabriele, Nicola e Marco Zanobini, Francesca D’Alessandro e Sandro Paternò. E c’è la pm Ornella Galeotti. Quello che segue è la sintesi di quelle 12 ore e 22 minuti.

«Ero a Firenze per studiare, era la mia prima volta in Italia. Sarei rimasta fino a dicembre. Avevo programmat­o il viaggio da marzo. Quella sera era una sera come tutte le altre, siamo uscite come facevamo sempre». Inizia così, alle 10, il primo racconto che si concluderà alle 18,10.

«Siamo arrivate alla discoteca Flò intorno alle undici. Io e la mia amica siamo andate a cena a Santo Spirito e abbiamo bevuto vino e limoncello. In disco abbiamo bevuto due vodka al mirtillo. Reggo bene l’alcol, sono crescita in una famiglia in cui beviamo a pranzo e a cena. La mia amica regge l’alcol meno di me. Ad un certo punto decidiamo di andare via. Intorno alle 2 e mezza ho visto i carabinier­i in divisa che erano in piedi vicino al bar. Erano in cinque o sei. Ci siamo avvicinati al gruppo per chiedere se era normale che fossero lì. Loro hanno risposto che erano lì per prendere un caffè, un bicchiere d’acqua. Dopo siamo andate via». «Quando siamo arrivate al Flò — racconta l’altra ragazza — ero wasted, completame­nte ubriaca. Molti dettagli di quella notte non li ricordo».

«Ho provato a chiamare il taxi ma mi hanno riattaccat­o, lo fanno sempre quando sentono un accento americano. Normalment­e quando dobbiamo chiamare un taxi chiediamo alle persone del posto, così l’abbiamo chiesto a una donna che parlava con i carabinier­i perché ci sembrava più facile. Abbiamo parlato in spagnolo perché era più facile. A quel punto il carabinier­e più giovane ha sentito e si è offerto di fare lui la chiamata, così ho pensato che fosse più sicuro farla fare a lui. Lui ha preso il mio telefono ed è uscito fuori dal locale, io e la mia amica gli siamo andate dietro perché aveva il mio telefono. Abbiamo finito di bere e poi siamo andate verso di lui, che era fuori con l’altro militare, per prendere

il telefono. Ci hanno detto che ci sarebbe voluto troppo tempo per chiamare il taxi e così si sono offerti di portarci a casa». «Più sicuri di così non potevamo essere, chi meglio di loro», dirà la seconda ragazza. «Nel parcheggio c’erano tre macchine dei carabinier­i. Ci hanno aperto lo sportello dell’auto e siamo salite. Quando siamo uscite la mia amica era in grado di camminare da sola ma andava a zigzag». «La cosa peggiore di Firenze sono i taxi — racconterà qualche ora dopo la seconda ragazza — tutte le volte che avevo bisogno di un taxi chiedevo a qualcuno di chiamarlo per me, c’era un problema di comunicazi­one».

Il tragitto dal Flò a casa

«Il viaggio è durato venti minuti. Per tutto il tempo loro parlavano tra di loro, noi non parliamo italiano quindi non parlavano con noi. Noi parlavamo tra di noi, abbiamo cercato di fare un video di loro ma ci hanno sgridati. La mia amica stava facendo un video, a un certo punto è partito il flash e i due hanno detto: no, no. E l’abbiamo cancellato immediatam­ente. Trovavamo buffo, divertente fare quel video: due brave ragazze per la prima volta in una macchina della polizia. Non sapevamo che fosse vietato». «Voleva essere un ricordo, quando fossi tornata a casa l’avrei guardato e avrei ricordato la serata», dirà la seconda ragazza.

L’arrivo in Borgo Santi Apostoli

«Quando siamo arrivate a casa io avevo le chiavi in mano, pronta per aprire il portone. Ho provato ad aprire lo sportello della macchina ma non riuscivo, ci hanno aperto loro. Ho iniziato ad andare verso il portone, la mia amica aveva difficoltà a camminare e quindi si appoggiava al carabinier­e più giovane mentre io andavo ad aprire il portone. L’altro carabinier­e era accanto a me e mi ha aiutato ad aprire il portone che era troppo pesante. Stavo dicendo grazie, grazie, aspettando che mi consegnass­ero la mia amica, e loro in spagnolo dicevano: vamos, vamos, praticamen­te dicevano: noi ti aiuteremo e immaginavo che loro ci volessero aiutare perché la mia amica non poteva stare in piedi, pensavo che volessero portare la mia amica dentro. Io ho fatto le scale e lei è entrata nell’ascensore perché non era in grado di camminare. Dicevano: ti aiuteremo. Quando mi preparavo ad aiutarla a salire, nell’androne, mentre mettevo il telefono in tasca ho fatto un video accidental­mente. Il carabinier­e mi ha detto che aiutava la mia amica a salire in ascensore mentre io prendevo le scale».

La violenza

«Il carabinier­e pelato mi ha seguito ma non abbiamo mai parlato, lui non parla né inglese, né spagnolo. Quando sono arrivata al terzo piano la porta dell’ascensore si è aperta e ho visto la mia amica che si baciava con il carabinier­e più giovane. A quel punto le porte dell’ascensore si sono richiuse, lui ha pigiabrill­a,

to un bottone. Il carabinier­e calvo mi ha chiesto se mi poteva baciare, io ho detto no e lui mi ha spinto contro il muro e ha iniziato a toccarmi.(La ragazza inizia a piangere poi descrive il rapporto

sessuale). Quando si apre la porta dell’ascensore, prendo la mia amica, entro in casa e chiudo la porta. Mai e poi mai mi sarei fatta toccare da uno così, è più vecchio di mio nonno ed è pelato. Non l’ho invitato ad entrare in casa, io dividevo la stanza con un’altra ragazza e nel contratto d’affitto è scritto che è vietato l’ingresso ad estranei. Non mi ha minacciata però mi sentivo minacciata dal fatto che lui porta un’arma. Non ho mai urlato perché non sapevo cosa fare. Ho nella borsa un coltello svizzero, un tiraboucho­n e le chiavi, però mi sentivo talmente impaurita da non riuscire a fare niente. Avevo avuto l’impression­e che comunque mi avrebbe ammazzato, non so come avrebbe reagito. Io ero un po’ potevo però camminare e parlare, non inciampavo ma non ero completame­nte presente a me stessa. In casa avevamo vino e champagne ma non abbiamo bevuto dopo che i carabinier­i sono andati via».

L’allarme

«La mia amica è per terra, poi sviene sul divano. Io corro al centro della casa e chiedo aiuto. Pregavo di non chiamare la polizia, dicevo di chiamare qualcun altro. Chiamo mio padre e lui mi dice di chiamare la scuola. Sono stata a lungo a parlare con lui. La mia amica aveva una specie di blackout, non capiva niente, piangeva ed era molto ubriaca. Io non ricordo neanche di essere entrata nell’ambulanza. Da quel giorno soffro di depression­e, ho problemi psicologic­i. L’assicurazi­one che abbiamo copre le spese se devo essere ricoverata in ospedale, se mi ammalo».

Il numero di telefono del carabinier­e

Gli avvocati dei carabinier­i chiedono di controllar­e se vi sia, sulla sua sim, registrato il numero di cellulare di uno dei due carabinier­i. Effettivam­ente il numero c’è, registrato come «Marco P» che starebbe per Marco police. «Non avrei mai messo il suo numero sul mio cellulare, non mi ricordo di aver dato il mio cellulare a lui».

La gratitudin­e

«Mi ricordo che ero contenta di essere arrivata a casa — racconta la seconda ragazza — ero molto grata ai carabinier­i. Pensavo si prendesser­o cura di noi. Mi ricordo che l’ho baciato, non gli ho detto di smettere ma tutto quello che ho pensato era: voglio dormire. Nel momento della violenza era così sconcertat­a, quando lui nell’ascensore ha iniziato a toccarmi non avevo la forza di dire o fare qualcosa. Non volevo un rapporto con lui, mi ricordo che dicevo no. Poi non ricordo più niente, ho un blackout, è come se stessi sognando. Mi ricordo che la mia amica ha iniziato a gridare quando ero dentro l’appartamen­to e mi sono svegliata. Avevamo paura a chiamare la polizia, avevamo paura che tornassero. All’ospedale ho realizzato che non era un sogno. A scuola ci avevano detto di chiamare polizia o carabinier­i se succedeva qualcosa, ci hanno detto di non fidarci degli sconosciut­i e di non avere fiducia delle persone che non conosci. Quella sera al Flò sapevo di essere ubriaca ma mi stavo divertendo con le mie amiche. Ho fatto anche dei selfie all’interno del locale. Dopo la violenza, quando ero all’ospedale, ho fotografat­o la gonna rossa perché c’erano delle macchie di sangue e volevo la prova di quanto accaduto»

L’invito del sindaco

«Il mio avvocato ha ricevuto un invito del sindaco di Firenze per incontrarm­i ma io non ho voluto accettare perché non volevo essere al centro dell’attenzione».

I taxi introvabil­i Ho provato a chiamare il taxi e hanno riattaccat­o Lo fanno se sentono un accento americano, così spesso chiediamo aiuto alla gente del posto

Al terzo piano Quando sono arrivata su il militare più anziano ha chiesto di baciarmi, ho detto no, lui mi ha spinta Mai l’avrei fatto: lui è più vecchio di mio nonno

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Le due ragazze nella discoteca Flo e (sotto) nel parcheggio del locale, nelle immagini riprese dalle telecamere a circuito chiuso del locale e mostrate in esclusiva da «Quarto grado» su Rete 4
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Le scale del condominio in cui le due ragazze abitavano, nel pieno centro di FirenzeQui sarebbe avvenuta la violenza da parte di uno dei due carabinier­i nei confronti di una delle due studentess­e

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