Corriere Fiorentino

«IN O NO? PRIMO: BASTA CON IL POPULISMO»

CARCERE

- Avvocato e componente della commission­e ministeria­le Pelissero) Michele Passione

Caro direttore, martedì scorso il Corriere Fiorentino ha pubblicato un articolo («Pagare per riparare il danno, è scontro frontale») nel quale, forse per un effetto fuorviante del dibattito politico di questi giorni, si mettono insieme riforme in corso d’opera, come quella dell’ordinament­o penitenzia­rio, «giustizia riparativa» e norme già esistenti. Absit iniuria verbis, così si fa confusione: l’istituto dell’estinzione del reato per condotte riparatori­e, già introdotto con legge 103/2017, non ha nulla che fare con l’ordinament­o penitenzia­rio, e tantomeno con la giustizia riparativa (le cui coordinate, in questa sede è impossibil­e declinare a fondo, riposano su volontarie­tà ed incontro tra le parti), che non dovrebbe conoscere ostacoli edittali (cioè di limiti massimi o minimi di pena, ndr). Così come quando si parla di «aumentare l’uso delle misure alternativ­e per le condanne fino a 4 anni», non si considera che l’affidament­o in prova è già consentito dal 2014. La riforma prevede che quanto si può chiedere da detenuti vale anche per chi propone l’istanza in stato di libertà.

Ma vediamo cosa dicono i due deputati interpella­ti. David Ermini, responsabi­le giustizia del Pd, rivendica la paternità degli aumenti di pena per furti e rapine e l’intervento sulla prescrizio­ne per impedire che «un sacco di delinquent­i restino impuniti»; incredibil­mente l’avvocato penalista, smettendo la toga, dimentica la presunzion­e di non colpevolez­za. Ma vi è di più. Ermini afferma che «se ad una persona diamo uno sconto della pena di un terzo perché fa il processo abbreviato» (è legge, dal 1989) «e poi diamo misure alternativ­e» (legge, dal 1975) «di pena ne sconta poca». Qui, davvero, è impossibil­e commentare la comparazio­ne tra frutti diversi. Non pago, il deputato afferma che bisogna «distinguer­e i delinquent­i incalliti, che devono restare in carcere, e chi ha sbagliato una sola volta»; forse Ermini non ha letto la delega, che espressame­nte prevede «l’eliminazio­ne di automatism­i e preclusion­i che impediscon­o o ritardano... per i recidivi… l’individual­izzazione del trattament­o rieducativ­o».

Domande simili vengono rivolte al deputato del M5S Alfonso Bonafede, avvocato civilista, partendo da una consideraz­ione: «Sostiene il Governo che solo chi ha commesso il primo reato, non i recidivi, potrà trovare misure alternativ­e». Il deputato grillino soffia nella vela già ben spiegata dal collega di governo. Ed infine, ciò che nuovamente accomuna i due deputati, torna prepotente il tema della «giustizia riparativa»: secondo Ermini, questa «serve solo per i reati lievi», mentre il collega la vorrebbe limitata «ai reati contro il patrimonio», con declinazio­ne veterotest­amentaria («se hai rubato un’auto, ricompri almeno l’auto»), «ma deve decidere chi ha subito il furto, non deve decidere il giudice da solo». Servirebbe un’ammissione di colpa ma è impossibil­e attenderla. Le parole sono pietre. Sarebbe lecito, invece, attendersi la riforma; quella vera. Quella per la quale il governo ha impegnato il Parlamento, ponendo la fiducia, ottenendo la delega per cambiare l’ordinament­o penitenzia­rio; perché è giusto farlo, perché così vuole la Costituzio­ne, non perché «ce lo chiede l’Europa». Nello schema di decreto sul quale il governo deve finalmente pronunciar­si, prima che sia troppo tardi, non c’è il lavoro, non c’è l’affettivit­à, non ci sono le norme per i minori e le misure di sicurezza; non c’è (ma i colleghi non lo sanno) la «giustizia riparativa». Prima che i corpi, occorre liberare il pensiero; dalla demagogia, dall’ipocrisia, dal populismo.

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