«IN O NO? PRIMO: BASTA CON IL POPULISMO»
CARCERE
Caro direttore, martedì scorso il Corriere Fiorentino ha pubblicato un articolo («Pagare per riparare il danno, è scontro frontale») nel quale, forse per un effetto fuorviante del dibattito politico di questi giorni, si mettono insieme riforme in corso d’opera, come quella dell’ordinamento penitenziario, «giustizia riparativa» e norme già esistenti. Absit iniuria verbis, così si fa confusione: l’istituto dell’estinzione del reato per condotte riparatorie, già introdotto con legge 103/2017, non ha nulla che fare con l’ordinamento penitenziario, e tantomeno con la giustizia riparativa (le cui coordinate, in questa sede è impossibile declinare a fondo, riposano su volontarietà ed incontro tra le parti), che non dovrebbe conoscere ostacoli edittali (cioè di limiti massimi o minimi di pena, ndr). Così come quando si parla di «aumentare l’uso delle misure alternative per le condanne fino a 4 anni», non si considera che l’affidamento in prova è già consentito dal 2014. La riforma prevede che quanto si può chiedere da detenuti vale anche per chi propone l’istanza in stato di libertà.
Ma vediamo cosa dicono i due deputati interpellati. David Ermini, responsabile giustizia del Pd, rivendica la paternità degli aumenti di pena per furti e rapine e l’intervento sulla prescrizione per impedire che «un sacco di delinquenti restino impuniti»; incredibilmente l’avvocato penalista, smettendo la toga, dimentica la presunzione di non colpevolezza. Ma vi è di più. Ermini afferma che «se ad una persona diamo uno sconto della pena di un terzo perché fa il processo abbreviato» (è legge, dal 1989) «e poi diamo misure alternative» (legge, dal 1975) «di pena ne sconta poca». Qui, davvero, è impossibile commentare la comparazione tra frutti diversi. Non pago, il deputato afferma che bisogna «distinguere i delinquenti incalliti, che devono restare in carcere, e chi ha sbagliato una sola volta»; forse Ermini non ha letto la delega, che espressamente prevede «l’eliminazione di automatismi e preclusioni che impediscono o ritardano... per i recidivi… l’individualizzazione del trattamento rieducativo».
Domande simili vengono rivolte al deputato del M5S Alfonso Bonafede, avvocato civilista, partendo da una considerazione: «Sostiene il Governo che solo chi ha commesso il primo reato, non i recidivi, potrà trovare misure alternative». Il deputato grillino soffia nella vela già ben spiegata dal collega di governo. Ed infine, ciò che nuovamente accomuna i due deputati, torna prepotente il tema della «giustizia riparativa»: secondo Ermini, questa «serve solo per i reati lievi», mentre il collega la vorrebbe limitata «ai reati contro il patrimonio», con declinazione veterotestamentaria («se hai rubato un’auto, ricompri almeno l’auto»), «ma deve decidere chi ha subito il furto, non deve decidere il giudice da solo». Servirebbe un’ammissione di colpa ma è impossibile attenderla. Le parole sono pietre. Sarebbe lecito, invece, attendersi la riforma; quella vera. Quella per la quale il governo ha impegnato il Parlamento, ponendo la fiducia, ottenendo la delega per cambiare l’ordinamento penitenziario; perché è giusto farlo, perché così vuole la Costituzione, non perché «ce lo chiede l’Europa». Nello schema di decreto sul quale il governo deve finalmente pronunciarsi, prima che sia troppo tardi, non c’è il lavoro, non c’è l’affettività, non ci sono le norme per i minori e le misure di sicurezza; non c’è (ma i colleghi non lo sanno) la «giustizia riparativa». Prima che i corpi, occorre liberare il pensiero; dalla demagogia, dall’ipocrisia, dal populismo.