Corriere Fiorentino

«Salgari, Dumas Con i romanzi si diventa grandi»

Francesco D’Adamo racconta le letture che lo hanno formato «I romanzi descrivono il mondo e spiegano la realtà meglio della tv e di Internet»

- di Francesco D’Adamo

Francesco D’Adamo, vincitore del Premio Ceppo Ragazzi per l’infanzia e l’adolescenz­a, da domani al 21 sarà protagonis­ta di una serie di incontri a Firenze, Pistoia e Campi Bisenzio. Lo scrittore, autore di successi internazio­nali come «Storia di Iqbal» dedicata al ragazzino pakistano ucciso dalla «mafia dei tappeti», racconta il nostro complicato mondo agli «adulti che hanno provvisori­amente massimo 13/14 anni», unendo realtà e fantasia, durezza del quotidiano e

Da tanti anni giro l’Italia per incontrare i miei lettori e so per esperienza che presto o tardi qualcuno alzerà la mano e mi farà la domanda da un milione di dollari: «Senti, ma tu perché scrivi proprio queste storie? Che sono belle e interessan­ti, per carità, lo dice anche la prof. Perché invece non scrivi qualche romanzo di avventure o una bella storia di vampiri coi morsi sul collo e tutto? Non ti piacciono queste storie?».

Se mi piacciono? Vado matto per le belle storie di avventure. Ne ho lette un sacco. Quando da ragazzo mi aggiravo per le strade di Cremona, dove sono cresciuto, temevo sempre di sentire, tra le spirali della nebbia e le ombre di certe stradine, il sinistro sibilo del laccio di seta con cui i Thugs, i sanguinari adoratori della dea Kalì, usavano strangolar­e le loro vittime. Oppure nei pomeriggi d’estate, nell’afa opprimente della Bassa, mi guardavo attorno timoroso di veder spuntare all’improvviso tra gli stentati cespugli dei giardini pubblici una

kalabag, la feroce tigre mangiatric­e d’uomini (se invece non mangia gli uomini si chiama solamente bag, ma fa paura lo stesso).

«Non ci sono tigri a Cremona». Lo so anch’io. Ma avevo nove anni, ero un fifone con una fantasia sfrenata e leggevo i romanzi di Emilio Salgari: I misteri della jungla nera, Le tigri di Mompracem, le avventure di Sandokan, la Tigre della Malesia. Passavo interi pomeriggi nella jungla, tra liane, piante carnivore, animali misteriosi; davo l’assalto alle cannoniere degli oppressori inglesi stringendo tra i denti un kriss (pugnale dalla lama serpeggian­te); entravo nel tempio segreto dei Thugs, tra orrori inenarrabi­li, per salvare la bella Ada destinata al sacrificio. Delle sudate… Arrivavo a sera stremato e felice.

Ma la domanda ne presuppone altre, più complicate e intriganti: «Perché proprio quelle storie? C’è qualcosa di autobiogra­fico in quello che scrivi? Da dove vengono, insomma, le storie che raccon- guizzo della diversità. Prima tappa il Consiglio Regionale della Toscana dove domani (ore 16, via Cavour 18) terrà la lectio «Reale e immaginari­o unitevi!» di cui pubblichia­mo in anteprima una sintesi e anticiperà il suo nuovo libro «Oh Harriett!» in uscita per Giunti. Con lui saranno presenti: il presidente del Consiglio Regionale Eugenio Giani, Paolo Fabrizio Iacuzzi, presidente e direttore artistico del Premio Ceppo, la giurata e coordinatr­ice del Ceppo Ragazzi Ilaria Tagliaferr­i e Beatrice Fini di Giunti Ragazzi. tano gli scrittori?» E che ne so? Vengono e basta. «Non puoi cavartela così».

D’accordo, ci provo. Curiosità legittima: anch’io ero convinto che Salgari avesse fatto il pirata prima di ritirarsi dagli affari e mettersi a scrivere, o perlomeno che fosse stato un vecchio lupo di mare. Poi ho scoperto che il mare non l’aveva mai visto e che le sue incredibil­i avventure nascevano nel chiuso del suo studio di Torino.

«E come faceva allora a in- la jungla, l’oceano, le tempeste…?». Ci riusciva perché era un grande scrittore. Un grande scrittore può inventarsi qualunque cosa, non c’è limite alla fantasia di uno scrittore – e di conseguenz­a a quella di un lettore. Quindi, anche per quello che mi riguarda, di direttamen­te autobiogra­fico non c’è quasi niente; ma nelle mie storie, in quelle storie, ci sono tutto intero io, col mio mondo e con le esperienze che ho attraversa­to, che ho sognato, che ho voluto o che sono venute a cercarmi.

Uno scrittore è il suo immaginari­o. L’immaginari­o è un magazzino immenso, un deposito inter-galattico, un hangar spaziale dove si accumula giorno dopo giorno tutto quello che ci colpisce e ci rimane nella pupilla e nella mente, una storia, una frase, un fotogramma, il sorriso di una ragazza o di un ragazzo, un ritornello, un odore, un’emozione forte, un frangersi di vento, la schiuma sulventars­i l’acqua, una parola portata dal vento. Libri, film, musica, e nel mio caso la realtà, il mondo che ho sempre cercato di capire e di vivere da protagonis­ta. (…) È a questo guazzabugl­io che lo scrittore attinge quando scrive le sue storie.

«Ma nel tuo guazzabugl­io cosa c’è?» Un sacco di roba. In ordine sparso: romanzi, fumetti, film, musica, di tutti i tipi e generi perché io ho sempre letto, visto e ascoltato di tutto, senza fare lo schizzinos­o. Sono curioso. Da tutto questo non solo ho preso spunto – consapevol­mente o meno – per i miei romanzi ma ho anche imparato a scrivere, ho imparato i trucchi del mestiere, il ritmo, la bellezza e la musica delle parole. Tex Willer e L’isola del tesoro, il Nautilus e Capitano Nemo, i cartoon di Gatto Silvestro e l’epopea del west, Zanna Bianca di Jack London e Robin Hood di Alexandre Dumas.

Le letture che fai da ragazzo possono essere decisive per determinar­e che tipo di adulto sarai: terminata la lettura di Robin Hood – avrò avuto dieci anni – decisi che io sarei sempre stato dalla parte di Robin che rubava ai ricchi per dare ai poveri e contro lo Sceriffo di Nottingham che rubava ai poveri per dare ai ricchi. Bhe, continuo a pensarla così dopo tanti tanti anni: grazie Robin! Vedete: i romanzi possono raccontare il mondo, farvelo capire, spiegare la realtà, meglio dei giornali, della tv, di Internet e compagnia (…).

Il Diario di Anna Frank è un romanzo che mi ha raccontato la realtà quando ero adolescent­e. E poi una canzone che ho ascoltato per caso un pomeriggio qualunque, era intitolata Auschwitz, la cantavano I Nomadi, e parlava proprio di quella cosa lì. Ma si può fare una canzone – una bella canzone – su una cosa del genere? Sì che si può. Fu una rivelazion­e. Poi ascoltai le canzoni di un giovanotto genovese con la faccia da schiaffi che parlava di guerra, di emarginati e di una principess­a che in realtà era una prostituta. Accidenti! Faccia Da Schiaffi / De André riusciva a cantare questi personaggi con una poesia, una delicatezz­a, una malinconia che solo i più grandi riescono a trasmetter­e. E poi c’è stata la grande stagione del rock degli anni Settanta: le chitarre elettriche che diventavan­o la colonna sonora della ribellione, della voglia di amore e di libertà e di un mondo migliore. Woodstock, tre giorni di amore, pace e musica: ricordo che quando uscimmo dal cinema con ancora negli occhi e nella mente l’immagine di Jimi Hendrix che martellava alla chitarra l’inno americano davanti al prato ormai deserto col vento che smuoveva i teli di plastica, ci mettemmo a ululare alla luna. Era quello che avevo sempre sognato di sentire, erano le sensazioni che avevo sempre sognato di provare. Le ho provate poi davvero quelle sensazioni, tante volte.

A nove anni leggevo Salgari, passavo interi pomeriggi nella jungla

Poi decisi che sarei stato sempre contro lo Sceriffo di Nottingham

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 ??  ?? Francesco D’Adamo sarà in Toscana per il Premio Ceppo che ha il sostegno di Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia e Banca del Chianti (foto: Daniela Zedda)
Francesco D’Adamo sarà in Toscana per il Premio Ceppo che ha il sostegno di Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia e Banca del Chianti (foto: Daniela Zedda)

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