Corriere Fiorentino

Il punto di arrivo di quelle camminate

-

Lorena aveva diciotto anni e cominciò a frequentar­e un gruppo spirituale laico spontaneo. D’estate andavano in una baita sulle Dolomiti per camminare e cercare di capire qualcosa. Così conobbe Dario, che veniva chiamato «113» perché quando erano nella baita risolveva i problemi di tutti ed era molto disponibil­e. Lei veniva chiamata Argo (creatura dai cento occhi) perché parlava poco e guardava molto. Era in soggezione, tra i figli della borghesia fiorentina. («Sono la prima laureata del parentame, e questo perché quando ero in terza media i miei genitori ebbero un incidente terribile e il prete ne approffitt­ò per farmi continuare a studiare»). Poi la soggezione andò via e nacquero amicizie solide e veritiere. A lei piaceva che anche lui fosse riservato. Per cinque anni furono amici purissimi. Un giorno cambiò qualcosa. Andarono a mangiare una pizza, solo loro due. Lui era strano. «Cos’hai?» gli chiese Lorena. E lui si dichiarò. Questo però se lo ricorda solo Dario, che forse fece una dichiarazi­one telepatica. Lei si ricorda di quando erano sulla spalletta dell’Arno, in piazza de’ Mozzi, davanti a Palazzo Bardini. Lui le raccontò che era cresciuto nel giardino Bardini, perché suo padre lavorava in quella proprietà. Le fece racconti fiabeschi sulla sua infanzia tra le piante e il finale fu come quello in pizzeria: si dichiarò. Lei scoprì che lui aveva la pelle liscia e morbida al tatto. Furono la prima e ultima persona importante l’uno per l’altro. Comunicaro­no agli amici la notizia: «Non ci crederete, ci siamo messi insieme». «Finalmente» fu la risposta. Lui diventò ingegnere ed entrò nel mondo dei martelli penumatici. Partecipò a diversi cantieri, tra cui quello del Frejus. Si sposarono e andarono a vivere a Fai della Paganella, sopra Trento. Lei passò la prima settimana battere a macchina la tesi in pedagogia, il viaggio di nozze l’hanno fatto trent’anni dopo. Quando si trasferiro­no a Milano il disorienta­mento fu quasi un dolore fisico, lui non riusciva a imparare la strada tra il residence e il luogo di lavoro. Ma poi si trovarono bene e trovarono una casa vera, grazie al fatto che la proprietar­ia impazziva per l’accento fiorentino. Lei cominciò a insegnare. Accoglieva­no tutti, ospitavano gli amici facendoli dormire sul pavimento e quando ci fu il grande addio a Milano — per un piccolo errore allagarono tre piani — gli amici li aiutarono economicam­ente. Fecero quattro figli, uno ogni tre anni. Tornati in patria, aiutarono molte persone ricche di prospettiv­e confuse e questo li rese felici, come se quelle camminate in montagna di molto tempo prima avessero finalmente raggiunto la loro vera meta.

 ??  ?? Insieme Dario e Lorena
Insieme Dario e Lorena

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy