Sacchi, il pistard d’oro e le volate alle Cascine
Il fiorentino diventato fuoriclasse alle Cascine, vinse l’Olimpiade con 4 sprint irresistibili
Nacque il giorno della Befana del 1926 ed iniziò presto a correre in bicicletta su strada, ma la sua «Epifania» avvenne in pista, dove dominò i primi anni Cinquanta. Enzo Sacchi da Firenze oggi non dice quasi nulla, ma è stato un idolo, un protagonista assoluto del ciclismo toscano ormai orfano dei successi di Gino Bartali, uno degli assi della pista che allora rivaleggiava con la strada per fama e presenza di pubblico. Le volate, le surplace, le sei giorni, attiravano migliaia di spettatori, distribuivano ricchi montepremi e il loro fascino contagiava scrittori e giornalisti, facendo dell’Italia una potenza sportiva nel settore e di Sacchi il primo fiorentino a vincere un titolo Mondiale.
Eppure Enzo, assieme al fratello Marino (che ebbe un breve carriera professionistica, senza vittorie) iniziò su strada, spinto dalla passione, dalle sfide in famiglia e con l’amico avversario Giovanni Cariulo. La prima pagina di storia scritta da Sacchi però fu un’altra, quando il ciclista ancora sconosciuto divenne partigiano, rifugiandosi sulle colline della sua Firenze e aiutando la resistenza contro fascisti e nazisti con la sua bicicletta come fecero, solo per restare agli atleti toscani, Gino Bartali che trasportava documenti falsi per gli ebrei ed Alfredo Martini che in bici portava anche bottiglie molotov ai combattenti sul Monte Morello. Finita la guerra il ventenne dilettante colse la sua prima vittoria nell’esordio — era il 1946 — della Firenze-Viareggio che sarebbe poi diventata una classicissima dei non professionisti, ma presto il richiamo della pista divenne irresistibile. La sua nuova casa era il velodromo delle Cascine, dove la potenza del suo fisico si esprimeva al meglio, con sprint mostruosi e dove conquistò presto appassionati e pubblico, affinando allo stesso tempo la tecnica.
Nel 1949 vinse il campionato italiano di velocità sul chilometro, l’anno dopo fu campione italiano dilettante su pista, come nel 1951 e 1952, facendo valere la sua legge sui veterani, ma anche sulle promesse (un nome su tutti? Antonio Maspes, il più forte pistard italiano di tutti i tempi). Coccolato da Firenze, azzurro in pianta stabile, Sacchi era una certezza in vista dei Mondiali su pista a Milano nel 1951, tanto che fu al centro di un «giallo», come raccontò Mario Fossati, una delle grandi firme della Gazzetta dello Sport. Il tecnico azzurro Guido Costa, che poi vinse praticamente tutto e che era pragmatico e profondo conoscitore dell’animo umano, volle incontrare Fossati alla viglia dell’evento. «Ho bisogno di una mano, per via della formula dei Mondiali che vede tre ciclisti in finale -—gli spiegò — In finale ci saranno l’australiano Mockridge, il nostro Sacchi, che è nella maturità piena come dicono i risultati, e un altro azzurro, che potrebbe essere benissimo Maspes. Ma se a Sacchi, che è già sul nervo, gli metto accanto Maspes mi perde il sonno e Maspes, dal canto suo, non accetta alcuna sudditanza... Nella migliore delle ipotesi corrono isolatamente, nella peggiore si azzannano e vince Mockridge. Ma al Vigorelli l’Italia non può perdere: fuori Maspes, dentro Morettini».
Fossati abbozzò, la Gazzetta non difese il milanese Maspes (che la prese malissimo e passo al professionismo, rimproverando il giornalista per tutta la vita) ma la scelta del Ct e Sacchi vinse il Mondiale della velocità, come voluto. Ad accoglierlo alla stazione di Santa Maria Novella al ritorno da Milano arrivarono migliaia di fiorentini, impazziti dalla gioia e un chiassoso corteo di Vespe, Lambrette, auto e biciclette lo scortò fino alle Cascine dove corse in passerella sul velodromo con la sua maglia iridata. Ai Giochi di Helsinki 1952 Sacchi era la punta di diamante della spedizione azzurra, assieme a Marino Morettini, e divenne ancora più il favorito quando Mockridge scelse di correre solo il tandem e il chilometro e Morettini l’inseguimento a squadre e il chilometro, entrambi forse da evitare il confronto con il campione azzurro sul suo terreno preferito.
Il fiorentino, 26 anni passati, era il più vecchio dei partenti e per la prima volta dal 1928 non si correva su due manche, ma in sfide secche a tre, con possibili ripescaggi per gli sconfitti. Alla velocità si iscrissero in 27 e la gara prevedeva il primo turno, il giorno 28 luglio, i quarti e le semifinali il 29 e dopo due giorni di riposo la finale a tre. Sacchi era sicuro dei propri mezzi e non deluse: al primo turno con 12”4 negli ultimi duecento metri vinse sul cecoslovacco Kosta e sul pakistano Mullick, nei quarti con 12” netti si impose del danese Krogh Rants e l’ungherese Szekeres e in semifinale con 12”1 sul sudafricano Robinson e sul tedesco del Ovest Potzernheim. In finale, con un percorso netto di sole vittorie come l’azzurro, si qualificarono l’australiano Leon Cox ed il ripescato Potzernhiem, mentre sugli spalti del velodromo finlandese accanto agli spettatori c’era anche Gianni Brera, che la Gazzetta ha mandato a seguire le gare di ciclismo e che esalta «il guizzo bruciante» dello scattista toscano. A Sacchi basta la volata degli ultimi duecento metri in 12” per battere Cox e Potzerneheim «con un margine stretto ma di sicurezza» ed è il trionfo (ribadito pochi mesi dopo con la vittoria nel Mondiale) con il giro d’onore osannato da tutto il pubblico in piedi i giornali che raccontano la nuova medaglia d’oro per l’Italia e Firenze che esulta per il suo fuoriclasse.
Terminata la sbornia della doppietta olimpica e mondiale Enzo Sacchi passò al professionismo su pista, ma non raggiunse più l’oro anche se fu protagonista per anni, vincendo all’estero numerose corse e qualche sei giorni, ed ottenendo ai Mondiali due secondi posti nel 1953 e 1958 ed un bronzo nel 1954. Chiuse la carriera agonistica nel 1965 e morì dopo una lunga malattia nel 1988 — molto prima di vedere il rinnovato velodromo della Cascine, di cui deteneva ancora il record alla fine degli anni Ottanta, intitolato a suo nome — conservando sempre l’amore per la pista ed il ciclismo. Assieme al ricordo di quei quattro sprint d’oro nella favolosa estate nordica del 1952.