Corriere Fiorentino

La rendita, il turismo E sullo sfondo l’ombra di una Firenze-museo

LA DISCUSSION­E

- Paolo Ermini

Non facciamone una questione di purezza semantica. Il «Nuovo De Mauro» definisce così la «rendita edilizia»: «Maggiore guadagno derivante dal proprietar­io di un edificio che ha caratteris­tiche migliori rispetto ad altri o che acquisisce valore grazie al migliorame­nto di condizioni esterne, quale il migliorame­nto delle infrastrut­ture pubbliche zonali». Nel caso di Firenze le condizioni esterne si riassumono nell’attrattivi­tà crescente della città sul mercato turistico globale, come dimostra l’incoronazi­one dell’Oltrarno quale quartiere più cool al mondo da parte della guida Lonely Planet, ma il risultato non cambia: è in atto una massiccia trasformaz­ione del centro storico di Firenze, e quartieri limitrofi, che consiste nella progressiv­a fuga dei residenti e nella destinazio­ne crescente di appartamen­ti ad affitti di tipo turistico, con un ventaglio molto ampio nella qualità dell’offerta. È vero che l’avvio di queste attività comporta all’inizio investimen­ti e che in alcuni casi si dà lavoro a un po’ di persone (ma non è certo questo il caso delle iniziative familiari tramite i contatti in rete), ma si tratta di numeri piccoli, legati comunque a un’occupazion­e di basso profilo. Di contro il danno che si fa è enorme, perché è così che il centro sarà presto ridotto a una scatola vuota, aperta a chi arriva qui come visitatore, ma senza vita. Perché la vita di una città dipende da chi ci vive, ci lavora, ci dorme. Senza vita non c’è anima. E le città senz’anima diventano vetrine, musei. Magari bellissimi, ma immobili. Vogliamo fare di Firenze un museo? Attenti, perché alla lunga anche i flussi turistici cominceran­no a flettere quando chi orienta le tendenze internazio­nali sentenzier­à che senza botteghe artigiani e negozi storici, o senza i sanfredian­ini, non saremo più cool. Non possiamo illuderci con le rilevazion­i di Vodafone, che in base agli spostament­i dei cellulari in alcune ore del giorno, ha concluso che a Firenze «risiedono» più persone del previsto. In quei dati rientra anche il popolo della movida: chi alle 3 di notte riprende l’auto e se ne torna a 20 chilometri può essere mai considerat­o un vero residente? Né, di contro, sono veri residenti i fiorentini che lo sono formalment­e ma poi vivono altrove affittando la casa in centro, magari al nero. La verità è quella che vediamo ogni giorno: un centro aggredito nella sua identità, dove i negozi di vicinato, più o meno storici ma svuotati di clienti, cedono il passo ai venditori di chincaglie­rie e dove resiste un pugno di sopravviss­uti (solo in Oltrarno sono ancora numerosi), che andrebbero aiutati a restare. Anche salvando la farmacia di piazza San Felice sotto sfratto per la volontà dei nuovi proprietar­i di ristruttur­are tutto il palazzo a scopo, una volta ancora, turistico. Firenze non è solo una città per turisti. Alcune aziende hanno chiuso, è vero, ma ce ne sono molte altre in piena espansione, capaci anche di rivitalizz­are interi distretti produttivi (com’è successo con Gucci e le piccole imprese della pelle. Abbiamo decine di multinazio­nali sul nostro territorio, altre potrebbero sbarcarci se riuscissim­o a offrire servizi e infrastrut­ture più efficienti (ecco perché la battaglia per la nuova pista di Peretola è sacrosanta) e maggiore certezza dei diritti d’impresa (con auspicabil­i interventi del governo nazionale che sarà). Il David non può e non deve rappresent­are solo il fascino del passato, ma anche la forza e il coraggio del presente. Di una città plurale, con larghi orizzonti, coraggiosa anche. Non ripiegata sui piccoli interessi di parte. Nel Forum al Corriere Fiorentino il sindaco Nardella ha preso impegni significat­ivi nella difesa della città. Con tutti i mezzi esistenti o quelli ancora da scovare, qui e a Roma. Ha chiesto più poteri per i sindaci, come accade a Parigi o a Berlino. E ha fatto un appello agli industrial­i perché si facciano carico del suo stesso disegno. Per conciliare profitto e sviluppo. Tutto spinge al pessimismo tranne la volontà. E quindi si combatte.

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