La rendita, il turismo E sullo sfondo l’ombra di una Firenze-museo
LA DISCUSSIONE
Non facciamone una questione di purezza semantica. Il «Nuovo De Mauro» definisce così la «rendita edilizia»: «Maggiore guadagno derivante dal proprietario di un edificio che ha caratteristiche migliori rispetto ad altri o che acquisisce valore grazie al miglioramento di condizioni esterne, quale il miglioramento delle infrastrutture pubbliche zonali». Nel caso di Firenze le condizioni esterne si riassumono nell’attrattività crescente della città sul mercato turistico globale, come dimostra l’incoronazione dell’Oltrarno quale quartiere più cool al mondo da parte della guida Lonely Planet, ma il risultato non cambia: è in atto una massiccia trasformazione del centro storico di Firenze, e quartieri limitrofi, che consiste nella progressiva fuga dei residenti e nella destinazione crescente di appartamenti ad affitti di tipo turistico, con un ventaglio molto ampio nella qualità dell’offerta. È vero che l’avvio di queste attività comporta all’inizio investimenti e che in alcuni casi si dà lavoro a un po’ di persone (ma non è certo questo il caso delle iniziative familiari tramite i contatti in rete), ma si tratta di numeri piccoli, legati comunque a un’occupazione di basso profilo. Di contro il danno che si fa è enorme, perché è così che il centro sarà presto ridotto a una scatola vuota, aperta a chi arriva qui come visitatore, ma senza vita. Perché la vita di una città dipende da chi ci vive, ci lavora, ci dorme. Senza vita non c’è anima. E le città senz’anima diventano vetrine, musei. Magari bellissimi, ma immobili. Vogliamo fare di Firenze un museo? Attenti, perché alla lunga anche i flussi turistici cominceranno a flettere quando chi orienta le tendenze internazionali sentenzierà che senza botteghe artigiani e negozi storici, o senza i sanfredianini, non saremo più cool. Non possiamo illuderci con le rilevazioni di Vodafone, che in base agli spostamenti dei cellulari in alcune ore del giorno, ha concluso che a Firenze «risiedono» più persone del previsto. In quei dati rientra anche il popolo della movida: chi alle 3 di notte riprende l’auto e se ne torna a 20 chilometri può essere mai considerato un vero residente? Né, di contro, sono veri residenti i fiorentini che lo sono formalmente ma poi vivono altrove affittando la casa in centro, magari al nero. La verità è quella che vediamo ogni giorno: un centro aggredito nella sua identità, dove i negozi di vicinato, più o meno storici ma svuotati di clienti, cedono il passo ai venditori di chincaglierie e dove resiste un pugno di sopravvissuti (solo in Oltrarno sono ancora numerosi), che andrebbero aiutati a restare. Anche salvando la farmacia di piazza San Felice sotto sfratto per la volontà dei nuovi proprietari di ristrutturare tutto il palazzo a scopo, una volta ancora, turistico. Firenze non è solo una città per turisti. Alcune aziende hanno chiuso, è vero, ma ce ne sono molte altre in piena espansione, capaci anche di rivitalizzare interi distretti produttivi (com’è successo con Gucci e le piccole imprese della pelle. Abbiamo decine di multinazionali sul nostro territorio, altre potrebbero sbarcarci se riuscissimo a offrire servizi e infrastrutture più efficienti (ecco perché la battaglia per la nuova pista di Peretola è sacrosanta) e maggiore certezza dei diritti d’impresa (con auspicabili interventi del governo nazionale che sarà). Il David non può e non deve rappresentare solo il fascino del passato, ma anche la forza e il coraggio del presente. Di una città plurale, con larghi orizzonti, coraggiosa anche. Non ripiegata sui piccoli interessi di parte. Nel Forum al Corriere Fiorentino il sindaco Nardella ha preso impegni significativi nella difesa della città. Con tutti i mezzi esistenti o quelli ancora da scovare, qui e a Roma. Ha chiesto più poteri per i sindaci, come accade a Parigi o a Berlino. E ha fatto un appello agli industriali perché si facciano carico del suo stesso disegno. Per conciliare profitto e sviluppo. Tutto spinge al pessimismo tranne la volontà. E quindi si combatte.