A caccia di conferme per puntare alla Regione
Sei giorni fa, quando la Lega è sbarcata a Piombino per il comizio elettorale di Matteo Salvini, più d’uno nel Carroccio era stato colto dalla sindrome della piazza vuota: ma nel fortino rosso della Costa, nel piazzale della direzione delle acciaierie, sono arrivate 300 persone. «La Lega stavolta prenderà voti anche dagli elettori di sinistra», esulta Manuel Vescovi, il segretario regionale che nel 2013 raccolse i cocci di un partito che in Toscana era ridotto allo 0,7 per cento. Per elettori di sinistra, Vescovi intende il voto di quegli operai che della sinistra sono scontenti da anni. «In Toscana forse sta per ripetersi quel che è successo 15, 20 anni fa in Lombardia e in Piemonte», quando Sesto San Giovanni o Mirafiori, orfane del Pci, saltarono sul Carroccio. La Lega, a livello nazionale, punta a prendersi la leadership del centrodestra per conquistare con Salvini anche Palazzo Chigi. Ma la partita si ripropone anche in Toscana: non solo perché qui è testa a testa («la Toscana è uno Swing State», dice l’economista Claudio Borghi mutuando l’espressione Usa per definire gli Stati in bilico e, quindi, decisivi), ma anche perché sul primato con Forza Italia si gioca il futuro della corsa per la Regione. Nel 2015, alle scorse regionali, la Lega fece il botto, doppiando col 16,2 per cento l’8,5 degli azzurri. Ma in tre anni molte cose sono cambiate: con Forza Italia il Carroccio è andato a braccetto alla conquista di molti Comuni toscani, in uno schema di candidature che ha funzionato benissimo. Inoltre, Berlusconi è tornato in auge. «Puntiamo a replicare il risultato del 2015, la differenza è che Forza Italia ha rimontato e ce la giocheremo sul filo di lana», dice Vescovi riguardo a queste Politiche. E per le Regionali, chi lo decide il candidato governatore? Se si voterà nel 2020, insieme a tutte le altre Regioni, vincerà la logica della spartizione a livello nazionale. Ma «se si dovesse votare con un anno di anticipo, nel 2019, certo, cercheremo di proseguire la condivisione che sui sindaci ha funzionato, ma non c’è dubbio che conterà chi avrà preso più o meno voti il 5 marzo». Il Carroccio si affida al voto d’opinione. E ha lanciato nei collegi di Siena e Firenze due intellettuali noti a livello nazionale, gli economisti anti-Euro Claudio Borghi e Alberto Bagnai (e non Mugnai, come erroneamente scritto ieri dal Corriere Fiorentino). La Toscana simbolo del no alla moneta unica, ma martedì sera proprio a Firenze Matteo Salvini ha detto che «l’Italia resterà nell’euro», cambiando però i trattati dell’Unione. «Nel programma della centrodestra — spiega Borghi — L’uscita dall’euro nuda e cruda non c’è, ma le premesse sì: il punto chiave è che se l’Europa ci dice di no al cambio dei trattati, noi usciamo dall’euro». Insomma, non c’è alcuna impasse con Forza Italia, assicura l’economista che sfiderà all’uninominale il ministro Pier Carlo Padoan. Il no all’Euro è la cifra della campagna toscana. Se in tv Salvini punta tutto sul «prima gli italiani» e sul tema dei migranti, nella piazza fiorentina o in quella senese il ragionamento si fa molto più raffinato. Perché, ricorda Vescovi, «con i nostri economisti, magari oltre agli operai alla sinistra strappiamo anche qualche intellettuale».
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