LE STORIE E LE LEGGENDE DI NOI CAMPIGIANI, SENZA CIPRESSI E COLLINE
Anarchici, irriverenti, partigiani, ladri e rubagalline, mangiatori di pecora, «fieri, furbi e dignitosi» (scriveva lo scrittore pratese Curzio Malaparte), «curturali ma gnoranti» (diceva cento anni dopo il ricercatore incisano Gilberto Rovai), inventori del motore a scoppio e dei jeans all’italiana, geni dei mercati in strada dalla voce e dai gesti teatrali, imprenditori di successo, individualisti, polemici, dispettosi, burberi e rissaioli ma anche allergici all’ingiustizia, altruisti, amanti del canto (e dell’inno della Fiorentina del compaesano Narciso Parigi), sempre pronti a far festa e ballare (il cognome più diffuso è Ballerini, sarà un caso?).
Eccoli i campigiani. Difficile dire chi sono davvero. Più facile affermare che campigiani si diventa, non si nasce. Essere campigiani pare essere uno stato dell’anima, si potrebbe dire usando parole grosse. Una intuizione confermata leggendo l’ultimo libro di Fabrizio Nucci, storico e giornalista, un volumetto agile, veloce quanto divertente dal titolo Campigiani si diventa. Fatti, luoghi e personaggi dagli Etruschi a... Tripolino (ed. Medicea Firenze, 12 euro).
Tripolino, tanto per dirlo subito a chi conosce solo gli etruschi, era il giornalaio di piazza Scarlino, «dilàdaipponte», quello che portava giornali e figurine in macchina una volta alla settimana fino alle frazioni senza edicola e che pochi anni fa, un giorno d’improvviso, ha dovuto anche lui chiudere e soccombere ai tempi moderni.
I campigiani sono stati e saranno sempre loro: tutti gli abitanti (più o meno stanziali) di quella Piana invasa da rotonde, capannoni, discariche, costruendi inceneritori, aeroporti, laghi del Wwf, parchi, maxi centri commerciali, mega piscine e super spa da ricchi, che si estende a ovest di Firenze verso Prato e che l’attore-poeta Carlo Monni (campigiano di nascita, dalla scarsa fama in vita in patria quanto «amato e celebrato dopo la morte come nessuno») ha ribattezzato per sempre Champs sur le Bisance.
Un luogo dell’anima forse per qualche nostalgico ma anche e soprattutto un «non luogo per chi arriva dall’autostrada» — scrive Nucci — «che non sembra neanche in Toscana». Niente cipressi, olivi e colline. «Una terra senza confini e con pochi monumenti abitata da una gente sempre pronta a cambiare, trasformarsi, mettersi in discussione». L’etimologia dice più di mille parole: dei campi lungo un fiume. Poco interessati alla storia, i campigiani: «Guardano avanti, il passato gli interessa poco» scrive Nucci. «Ma proprio qui, in questi luoghi, c’è l’essenza della toscanità».
E forse ha ragione. In quella Piana 2500 anni fa gli etruschi avevano costruito uno dei loro più grandi insediamenti, quello di Gonfienti. Velocemente scoperto durante i lavori dell’Interporto di Prato, quanto altrettanto veloce- mente dimenticato: non gliene frega niente a nessuno, ma Gonfienti potrebbe cambiare la storia degli etruschi. Non gliene frega niente perché Campi cresce, corre e cambia a velocità stratosferica: sono quasi 50 mila gli abitanti di questi 28 chilometri quadrati di pianura (la stessa popolazione di Mantova, tanto per fare un esempio).
Dal castello dei Mazzinghi poi passato agli Strozzi, alle «pisciatine» di Alemanno Rucellai e al mulino di Cosimo dei Medici; dallo storico sciopero delle trecciaiole di fine 800, al farmacista Garibaldo, ai grandi cantanti lirici come Rolando Panerai, al partigiano Lanciotto Ballerini (medaglia d’oro al valor militare) e a don Carlo Desii, il parroco antifascista; passando da personaggi leggendari come Gigione, Baghero, Ferìa e Cimpillino e quel gran genio di Marzio (che a 27 anni, prima di morire troppo presto, designer ormai famoso, in un incidente sul taxi la notte di capodanno a New York, progettò il circolo Rinascita: «la più bella Casa del Popolo d’Italia» diventata il Manila, tempio del rock post punk anni ’80) fino alle vite parallele di Roy Roger e Raffaello Bacci, per chiudere con i Querci, la famiglia di artisti de La Villa. Una carrellata di piccole storie e grandi personaggi raccontati da Fabrizio Nucci per non far dimenticare «la storia e l’identità, il carattere e la forza di una grande comunità che non sembra curarsene troppo». Abbastanza inevitabile però: in fondo siamo campigiani, no?