UN SENTIERO IMPEGNATIVO
L’Italia è in una delicata fase di transizione economica, dalla recessione ad una ripresa rallentata da problemi di antica data. Eppure questi hanno costituito un terreno che di fatto risulterà ininfluente sull’esito delle votazioni. Se è vero che il voto sarà più «di pancia» che «di testa», si spiega perché i candidati, salvo lodevoli eccezioni, si siano tenuti alla larga dai problemi di compatibilità, di coerenza e di razionalità che il ragionamento economico impone. La legge elettorale, sostanzialmente proporzionale, ha inoltre indirizzato i candidati a impegnarsi sui grandi temi nazionali, come la sicurezza, l’immigrazione, l’identità politica, le strategie delle alleanze, piuttosto che individuare e proporre temi relativi ai collegi e al loro tessuto economico. Pochi candidati in Toscana hanno, per esempio, cercato di fornire soluzioni ad un problema cruciale, come quello di adattare la struttura distrettuale della nostra manifattura all’evoluzione dell’economia digitale, la così detta industria 4.0, che in effetti può modificare l’organizzazione della produzione e della distribuzione nei distretti, attualmente in ritardo nell’adozione dei cosiddetti sistemi di smart manufacturing. Si tratta di favorire le imprese distrettuali per rafforzare le loro capacità di produrre in piccole serie e con prodotti realizzati su misura del cliente e di gestire in modo più efficiente i tradizionali e fitti rapporti di filiera tra tante Pmi. L’industria 4.0 si inserisce su questa tendenza richiedendo sempre più lavoratori con formazione universitaria; più capacità di investire in ricerca e sviluppo e produrre innovazioni; maggiore offerta di servizi a elevato valore aggiunto per le imprese. Queste risorse sono distribuite sul territorio in modo asimmetrico in quanto tendono ad essere concentrate nei grandi centri urbani, quindi fuori dai confini distrettuali localizzati intorno a centri minori e isolati. Non si può prescindere pertanto da una più ampia apertura dei distretti ai territori specializzati su queste risorse, attivando e utilizzando reti di connessione; un grande tema, questo, ma che non è assolutamente emerso nel dibattito nei collegi. Pochi hanno poi cercato di dare una seria lettura dell’immagine che il ministro dell’Economia Padoan ha usato per descrivere la situazione dell’economia italiana nel medio periodo: un «sentiero» tanto più stretto quanto maggiori sono le difficoltà strutturali della nostra economia.
Eppure l’ampiezza del sentiero dipende da variabili in parte determinate dalla politica economica del governo: il tasso di crescita del Pil monetario, il costo medio del credito e il saldo primario di bilancio. Tutte e tre incidono sul rapporto del debito pubblicoPil, lo scoglio principale da abbattere per riprendere un percorso virtuoso. Anche i candidati competenti in materia non si sono realmente impegnati per spiegare agli elettori come la politica possa invece, con messaggi non credibili o contraddittori, mettere a rischio il collegamento virtuoso tra le variabili. Ma come mi disse uno studente dopo una conferenza, i voti li prende chi «fa sognare», non chi «fa pensare». Si può convenire che sia vero, ma non che sia un bene per il futuro del Paese.