Renzi-Pd, è qui la vera riprova del suo modello
Il partitone toscano è per la prima volta dentro un thriller. Da decenni le elezioni, soprattutto le Politiche, qui avevano il finale già scritto: il vincitore era chiaro ancora prima della campagna elettorale e la differenza tra una vittoria o la «tenuta» della sinistra passava da qualche punto percentuale in più o in meno. Domenica sarà diverso. Il centrosinistra e il Pd, suo azionista di maggioranza, rischiano in almeno 3 collegi (Lucca, Massa e Grosseto) e guardano con preoccupazione a ciò che può succedere a Pistoia e ad Arezzo. Uno scenario impensabile anche solo 5 anni fa, quando i Democratici trainarono la coalizione «Italia bene comune» alla vittoria in tutte le province toscane. Ma oggi tira un brutto vento a livello nazionale e non esistono più isole rosse in cui ripararsi, come dimostrano le sconfitte alle Amministrative degli ultimi 4 anni, da Livorno a Pistoia passando per Arezzo. «Poi questa è stata una campagna tutta giocata sulla pancia e solitamente chi governa non esce bene da una corsa così. E noi siamo al governo sia a Roma che in Toscana...», notano con una certa apprensione tra i Democratici. Senza dimenticare la scissione del 2017, che in Toscana ha significato l’addio al Pd di personalità come il governatore Enrico Rossi e l’ex sindaco di Pisa Paolo Fontanelli (oggi tutti in Liberi e Uguali) con i relativi seguiti elettorali. Ma con la scissione è uscito dal Pd anche un pezzo del corpaccione del vecchio partito, quei militanti pronti a impegnarsi porta a porta in ogni campagna. È vero che tanti altri sono rimasti, ma a cambiare è stata la pelle dei Democratici, nel solco di ciò che Renzi teorizzava prima di diventare segretario: basta con il partito novecentesco, bisogna aprire una fase nuova per contrastare l’avanzata dell’anti-politica e del M5s in particolare. Ecco, questo nuovo partito nato proprio in Toscana — più attento a intercettare gli umori degli elettori e meno agli equilibri tra dirigenti — è atteso oggi al suo primo vero esame. «Gli sforzi dei militanti sono stati concentrati sull’organizzazione degli eventi di Renzi, candidato al Senato a Firenze, e gli altri candidati hanno fatto ognuno la sua corsa», spiega un dirigente Pd che ha visto tante campagne. D’altronde le candidature nei collegi uninominali sono state tutte pensate — fatta eccezione per le figure istituzionali, come la ministra Valeria Fedeli a Pisa e il ministro Pier Carlo Padoan a Siena, scelto sperando nell’effetto salvataggio di Mps — per fare da traino nel proporzionale. Da qui la scelta di portatori di voti come Rosa Maria Di Giorgi nel collegio di Firenze 2, Luca Lotti a Empoli, Leonardo Marras a Grosseto, Stefano Baccelli a Lucca.
Basteranno i consensi personali dei candidati per spingere il Pd toscano al 40%, il risultato promesso mesi fa dai vertici regionali a Renzi? Il segretario Dario Parrini, candidato al Senato nel collegio Sesto-Empoli, non si sbilancia in previsioni ma ostenta sicurezza. «Abbiamo candidati ottimi per autorevolezza e radicamento che stanno dando tutto nei rispettivi collegi. Nessun timore quindi. Anzi ho molta fiducia, e la certezza che stiamo facendo il massimo e che faremo sempre di più fino all’ultimo minuto utile. I nostri militanti e tutto il gruppo dirigente stanno svolgendo un lavoro straordinario. L’unica campagna elettorale di popolo, per le persone e tra le persone, è la nostra. I risultati — conclude Parrini — ci daranno ragione».
Di sicuro c’è che le sfide difficili per il Pd non finiranno domenica, perché dopo le Politiche ci saranno le Amministrative, con il voto a Pisa, Siena e Massa. Tre città in bilico per due motivi diversi — il partito senese e quello massese sono divisi sulla riconferma dei sindaci uscenti, a Pisa c’è da trovare il candidato per il dopo-Filippeschi — e uno comune: la mancanza ad ora di una coalizione. Perché in Toscana il vecchio centrosinistra ha retto alla botta della scissione, con Pd e sinistra che governano insieme diversi Comuni e la Regione, ma inizia a scricchiolare: Liberi e Uguali per ora si tiene le mani libere. Da mesi i frondisti Pd come Stefano Bruzzesi e Monia Monni chiedono di aprire un confronto con la sinistra. (Anche se in questi mesi di campagna non hanno fatto polemiche: «Tutti al lavoro per il Pd», ribadisce Bruzzesi). Il vicesegretario regionale Antonio Mazzeo apre: «Subito dopo le Politiche bisogna rimettere in piedi il centrosinistra modello Toscana, mettendo da parte i veti». Prima però c’è la notte di domenica, incerta come non mai.
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