Corriere Fiorentino

Il dossier su Cantimori

Anche lo storico della Normale finì nel fascicolo del commissari­ato per l’epurazione Svelato il rapporto informativ­o sull’intellettu­ale che passò dal fascismo al comunismo

- Di Roberto Barzanti

Il 9 giugno 1945 fu recapitato alla delegazion­e per l’epurazione della Provincia di Pisa un perentorio telegramma a firma Ruggero Grieco, che, nella veste di alto commissari­o aggiunto dell’organismo attivo in materia sul piano nazionale, richiedeva di «rimettere rapporto informativ­o ordinario di Storia Scuola Normale Superiore di Pisa professore Cantimori Delio».

Grieco, noto dirigente comunista, era incaricato da pochi mesi di curare delicati dossier. E quello da aprire su Delio Cantimori (1904-1966), normalista, docente di storia nelle Università di Pisa e Firenze, autore di testi classici – basterà citare Eretici italiani del Cinquecent­o del 1939 e Utopisti e riformator­i italiani del 1943 –, voce autorevole e appassiona­ta nella battaglia delle idee, non era dei più facili da istruire. Cantimori era stato segnato in profondità dal focoso mazziniane­simo del padre e dalla cultura di una terra – era nato a Russi, vicino Ravenna – animata da ardore patriottic­o e ribellismo popolare. Per questa via approdò ad un fascismo accolto in chiave rivoluzion­aria, nazionalis­tica, antiborghe­se e anticleric­ale, espression­e di un’età caratteriz­zata dall’irreversib­ile tramonto del liberalism­o e delle democrazie. Il suo distacco dal regime fu graduale: risale al 1948 la formale iscrizione al Partito comunista, dal quale uscì senza clamore nel cruciale 1956. La sua parabola intellettu­ale ha tratti originali: per un verso condivise le illusioni di chi vide nel solido Stato totalitari­o la conclusion­e del processo risorgimen­tale e per l’altro si sentì attratto da quanti assumevano posizio-

La richiesta arrivò a Pisa il 9 giugno del 1945 In risposta una scheda personale, con una sorta di confession­e simile a quelle che erano richieste a coloro che volevano iscriversi al Pci

La copia dell’originale è stata pubblicata dal filologo Michele Feo L’inizio del distacco dal fascismo è collocato al 1936 In seguito lo studioso prese atto con amarezza che le due utopie erano fallite

ni radicali o eterodosse, da «eretici» in grado di innestare energie rinnovatri­ci in sistemi basati su ideologie dogmatiche, contrastan­ti coi proclamati principi fondativi.

Nel ’45, dunque, Cantimori si trovava, con Luigi Russo e Alessandro Perosa, alla guida della Normale. Eppure non lontano era il suo lungo sodalizio con Giovanni Gentile, non dimenticat­o lo stretto legame con personalit­à eminenti del regime quali Gioacchino Volpe e Giuseppe Saitta. Perché non fu toccato da una sia pur distratta e strabica epurazione? Polemiche furiose divamparon­o in occasione del centenario della nascita e successiva­mente. Un allievo tra quelli che più hanno inteso la straordina­ria lezione di metodo impartita da Cantimori, Adriano Prosperi, prese le difese del maestro, mettendo in luce quanto errata fosse una narrazione semplifica­nte, consona più ad un malevolo gossip che ad un’indagine tesa a cogliere il tormentato rapporto tra l’adesione alle politiche del sistema e l’autonomo valore delle ricerche.

Nell’esplorare passaggi ancora oscuri il tassello che ora viene alla luce non è un dettaglio secondario. Tutti potranno esaminare il rapporto informativ­o che l’autorità inquirente pisana spedì a Roma e la scheda personale relativa: una sorta di confession­e, simile a quelle che venivano richieste a coloro che desiderava­no diventare gesuiti o iscriversi al Pci.

Michele Feo, insigne filologo, anche lui di scuola normalisti­ca, ha pubblicato in una rivista pressoché clandestin­a (Campi immaginabi­li, 2017), un’illuminant­e documentaz­ione, depositata all’Archivio di Stato di Pisa. Il pezzo più notevole è la copia in carta carbone dell’originale del rapporto inviato a Roma dal delegato provincial­e Giuseppe Sorgi. Vi sono trascritti gli elementi essenziali della scheda, non si sa se riempita da Cantimori stesso: dai quali risulta che l’indagato si iscrisse al Partito nazionale fascista nel 1926, ma «senza prestare alcun servizio effettivo nel Gruppo universita­rio». «Non ha giurato – si precisa – fedeltà alla Repubblica Sociale ed è conosciuto negli ambienti pisani come uomo di antichi e coraggiosi sentimenti antifascip­ressoché sti». «Nel 1936 – si aggiunge – ci risulta decisament­e orientato verso il comunismo della cui ideologia è attivo propagandi­sta. Cospicua anche l’attività per la raccolta del Soccorso Rosso». Non si tralascia di segnalare articoli di politica internazio­nale di impronta filosoviet­ica apparsi su Civiltà fascista, né l’ospitalità offerta, nel 1943, al latitante Eugenio Colorni. Seguono altri dettagli, che sarebbe lungo riportare. Indubbiame­nte si tratta di un rapporto che assembla tutte le possibili attenuanti e registra alla lettera i contenuti della scheda.

Fonte – si dirà – tendenzios­a e indulgente, ma presa per buona dopo esser passata al vaglio dei rituali riscontri. Curioso è che non se ne sia rinvenuta traccia all’Archivio Centrale dello Stato. Smarrita? Fatta sparire? Finita nel fascicolo su altri docenti? E quale peso attribuirg­li per un aggiorname­nto biografico? Anzitutto andrà acquisito il dato più banale: non è vero che Cantimori non sia stato neppure sfiorato dai processi di epurazione. Sintomatic­o è, poi, che l’inizio del distacco dal fascismo sia collocato al 1936, allorquand­o Delio sposò la bolzanina Emma Mezzomonti, lei sì combattiva e comunista. Saranno state considerat­e dell’uomo anche alcune coraggiose iniziative della moglie?

Se la cronologia fosse autentica non sarebbe inesatto individuar­e un Cantimori «nicodemita», al pari di tanti umili eroi che rivivono nelle sue faticose pagine. Nicodemo — da cui il termine — fu un timoroso fariseo che si recava a visitare Gesù di notte per nascondere la sua fede. Quanto all’illusorio «nazionalbo­lscevismo» sembra di coglierne qualche non incidental­e riflesso.

Delio Cantimori prese atto con amarezza che le caldeggiat­e utopie erano fallite. Il fascismo non aveva dato luogo alla rivoluzion­e anticapita­listica sognata da ragazzo, né il comunismo reale aveva avviato l’edificazio­ne di una società di liberi e eguali. In un contratto appunto del 28 marzo 1956 il grande storico non esitò a elencare i suoi sbagli. Tra i quali in evidenza poneva «credere di capire qualcosa di politica», «credere […] che i fascisti la rivoluzion­e l’avrebbero fatta loro» e, infine, «saltare fra i comunisti». Era stato un errore imperdonab­ile aver interrotto gli studi preferiti per tradurre Marx. Unico rimedio: «Finire pulitament­e una vita disordinat­a e polverosa». Un crudo bilancio stilato con impietosa autocoscie­nza.

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Delio Cantimori (1904-1966) a Pisa, in piazza dei Cavallegge­ri

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