VINCERE, ANZI FAR PERDERE
Nelle democrazie bene ordinate la rappresentanza e la governabilità coesistono. Sia pure in diversa misura, perché ora prevale l’una e ora l’altra. Il caso del Regno Unito è emblematico. Se c’è un sistema elettorale disrappresentativo è proprio questo. Tant’è che si è dato il bel caso di un partito minoritario nel Paese e maggioritario alla Camera dei Comuni. Oltre Manica di norma la governabilità è assicurata. Ma i rappresentanti del popolo non sono dei Giovanni senza terra. No, sono espressione del collegio uninominale dove sono stati eletti. E in Parlamento i deputati, più che per nome, sono denominati come rappresentanti di questo o quel collegio.
Da noi tutto questo è un miraggio. Abbiamo un sistema elettorale, ribattezzato Rosatellum perché coniato dal capogruppo del Pd alla Camera a sua insaputa, che non garantisce né l’una né l’altra cosa. Né una decente rappresentanza né un barlume di governabilità. Un sistema, pare impossibile, che fa un comodo birbone a tutti in ragione per l’appunto dei suoi difetti. La rappresentanza è una pia illusione. Difatti o si mangia la minestra preparata da partiti buoni a nulla e capaci di tutto o si salta dalla finestra. E ci vuol poco a rendersene conto.
Nella quota proporzionale i nomi dei candidati sono belli e stampati sulla scheda elettorale. Perciò se si vota una lista, i voti automaticamente andranno ai candidati suddetti. A seconda della consistenza del partito, sempre che superi la soglia del 3 per cento, passerà prima il primo della lista e poi eventualmente gli altri. Si obietterà che nella quota maggioritaria uninominale l’elettore sarà libero di scegliere. E invece no. Perché in mancanza del voto disgiunto, che permette di accordare il voto a un candidato di una lista o di una coalizione diversa da quella preferita, il voto per un partito si trasmette automaticamente al candidato del maggioritario. La scelta degli elettori si riduce ancor di più se si considera che nei collegi sicuri è il partito che nomina il candidato. E tra i paracadutati, la Toscana ne sa qualcosa, non tutti sono degli emuli di Cavour, di Crispi, di Giolitti.
Il guaio è che se Atene piange, Sparta non ride. Non solo il principio di rappresentanza da noi è andato a farsi benedire perché Sua Maestà la Partitocrazia si è sostituita a noi sudditi nella scelta dei cosiddetti (mai tanto cosiddetti) rappresentanti del popolo. Ma anche la governabilità sta diventando sempre più introvabile.
Siccome un po’ tutti i partiti temevano di buscarle, si è coniata una legge elettorale (quando si dice il genio…) dotata di modalità tali da impedire a ciascuno di vincere la partita. Un po’ come al Palio di Siena, si è fatto di tutto, e di più, per osteggiare il competitore. E i competitori più insidiosi si sono rivelati non già quelli al di fuori di questo o quel partito, ma quelli al loro interno.
Privati della rappresentanza, dopo il 4 marzo saremo costretti a rincorrere una problematica governabilità. Se altrove basta la maggioranza assoluta per governare, da noi non basta. Perché, come sosteneva Machiavelli, da noi le botte non si danno a patti. E l’istituto britannico del pairing, in forza del quale se si assentano dieci deputati della maggioranza escono dall’aula per fair play altrettanti deputati dell’opposizione, non fa per noi. Perciò è probabile che, alla scuola del Cimento, il presidente della Repubblica dovrà provare e riprovare. E i partiti dovranno annusarsi per mettere assieme una parvenza di maggioranza. Ma se sarà così, saremmo tentati di esclamare: aridateci la puzzona. Ma sì, la tanto bistrattata rappresentanza proporzionale in auge ai tempi della Prima Repubblica. Certo, la governabilità non sarà assicurata. Soprattutto oggi che i partiti sono una poltiglia che ci fa orrore. Ma almeno ogni voto sarà uguale a tutti gli altri. E almeno la rappresentatività sarà garantita. Vi parrebbe poco con i tempi che corrono?