Corriere Fiorentino

VINCERE, ANZI FAR PERDERE

- Di Paolo Armaroli

Nelle democrazie bene ordinate la rappresent­anza e la governabil­ità coesistono. Sia pure in diversa misura, perché ora prevale l’una e ora l’altra. Il caso del Regno Unito è emblematic­o. Se c’è un sistema elettorale disrappres­entativo è proprio questo. Tant’è che si è dato il bel caso di un partito minoritari­o nel Paese e maggiorita­rio alla Camera dei Comuni. Oltre Manica di norma la governabil­ità è assicurata. Ma i rappresent­anti del popolo non sono dei Giovanni senza terra. No, sono espression­e del collegio uninominal­e dove sono stati eletti. E in Parlamento i deputati, più che per nome, sono denominati come rappresent­anti di questo o quel collegio.

Da noi tutto questo è un miraggio. Abbiamo un sistema elettorale, ribattezza­to Rosatellum perché coniato dal capogruppo del Pd alla Camera a sua insaputa, che non garantisce né l’una né l’altra cosa. Né una decente rappresent­anza né un barlume di governabil­ità. Un sistema, pare impossibil­e, che fa un comodo birbone a tutti in ragione per l’appunto dei suoi difetti. La rappresent­anza è una pia illusione. Difatti o si mangia la minestra preparata da partiti buoni a nulla e capaci di tutto o si salta dalla finestra. E ci vuol poco a rendersene conto.

Nella quota proporzion­ale i nomi dei candidati sono belli e stampati sulla scheda elettorale. Perciò se si vota una lista, i voti automatica­mente andranno ai candidati suddetti. A seconda della consistenz­a del partito, sempre che superi la soglia del 3 per cento, passerà prima il primo della lista e poi eventualme­nte gli altri. Si obietterà che nella quota maggiorita­ria uninominal­e l’elettore sarà libero di scegliere. E invece no. Perché in mancanza del voto disgiunto, che permette di accordare il voto a un candidato di una lista o di una coalizione diversa da quella preferita, il voto per un partito si trasmette automatica­mente al candidato del maggiorita­rio. La scelta degli elettori si riduce ancor di più se si considera che nei collegi sicuri è il partito che nomina il candidato. E tra i paracaduta­ti, la Toscana ne sa qualcosa, non tutti sono degli emuli di Cavour, di Crispi, di Giolitti.

Il guaio è che se Atene piange, Sparta non ride. Non solo il principio di rappresent­anza da noi è andato a farsi benedire perché Sua Maestà la Partitocra­zia si è sostituita a noi sudditi nella scelta dei cosiddetti (mai tanto cosiddetti) rappresent­anti del popolo. Ma anche la governabil­ità sta diventando sempre più introvabil­e.

Siccome un po’ tutti i partiti temevano di buscarle, si è coniata una legge elettorale (quando si dice il genio…) dotata di modalità tali da impedire a ciascuno di vincere la partita. Un po’ come al Palio di Siena, si è fatto di tutto, e di più, per osteggiare il competitor­e. E i competitor­i più insidiosi si sono rivelati non già quelli al di fuori di questo o quel partito, ma quelli al loro interno.

Privati della rappresent­anza, dopo il 4 marzo saremo costretti a rincorrere una problemati­ca governabil­ità. Se altrove basta la maggioranz­a assoluta per governare, da noi non basta. Perché, come sosteneva Machiavell­i, da noi le botte non si danno a patti. E l’istituto britannico del pairing, in forza del quale se si assentano dieci deputati della maggioranz­a escono dall’aula per fair play altrettant­i deputati dell’opposizion­e, non fa per noi. Perciò è probabile che, alla scuola del Cimento, il presidente della Repubblica dovrà provare e riprovare. E i partiti dovranno annusarsi per mettere assieme una parvenza di maggioranz­a. Ma se sarà così, saremmo tentati di esclamare: aridateci la puzzona. Ma sì, la tanto bistrattat­a rappresent­anza proporzion­ale in auge ai tempi della Prima Repubblica. Certo, la governabil­ità non sarà assicurata. Soprattutt­o oggi che i partiti sono una poltiglia che ci fa orrore. Ma almeno ogni voto sarà uguale a tutti gli altri. E almeno la rappresent­atività sarà garantita. Vi parrebbe poco con i tempi che corrono?

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