Prima pagella per Rossi & C. (con l’incognita del dopo)
La pagella sarà come quella di scuola: per Liberi e Uguali, la neonata formazione a sinistra del Pd, il giudizio sul proprio risultato elettorale sarà pari alla percentuale di voti raggiunta, da 1 a 10. E il 6 per cento è l’asticella della sufficienza. Ma in Toscana non basterà: «Per noi dovrà essere una delle regioni traino, qui ci aspettiamo un grande risultato», dicono sottovoce i big del partito, che sognano la doppia cifra.
Ufficialmente, numeri nessuno ne vuole dare: un po’ perché le aspettative sono alte «e quando andiamo a fare la spesa in tantissimi ci dicono che ci voteranno»; un po’ per prudenza, perché «il progetto di Liberi e Uguali deve andare avanti a prescindere dal risultato». Così, Alessia Petraglia, senatrice uscente di Sinistra Italiana, ricandidata a Palazzo Madama per LeU, rifiuta il ruolo di quarto incomodo in una corsa a tre per Palazzo Chigi: «Chi dice che una coalizione potrebbe avere la maggioranza dice una bugia: con questa legge elettorale proporzionale non ci sarà un vincitore. E sarà il Parlamento a decidere chi e come governerà». In LeU, nata dalla fusione con Articolo 1-Mdp, ovvero i Bersani, i D’Alema, i Rossi, che hanno abbandonato Renzi e il Pd, e con i civatiani (usciti molto prima di Rossi e compagni) e punta a un ruolo chiave nel prossimo Parlamento: «Essere accusati di fare da bastone tra le ruote del Pd e di avvantaggiare la destra è privo di senso — prosegue Petraglia — siamo di fronte a un Paese sconcertato da un partito di centrosinistra che ha fatto politiche di destra, dove la gente non ha i soldi per mangiare o per curarsi, pensiamo ancora che ancora il concetto secondo cui bisogna alzare un argine contro i barbari? Una volta in Parlamento, saremo disponibili a parlare con il Pd o una parte del Pd solo se ci sarà una vera svolta: abrogare il Jobs Act, la Buona Scuola, la Fornero, finanziare la sanità, assumere medici, dare dignità al lavoro...». Un programma che fa da linea di confine rispetto al possibile dialogo col Pd. Ma gli ex Democratici, confluiti in Mdp e poi in Leu, sono dello stesso avviso? «La mia linea di confine è la stessa di Alessia Petraglia — dice Filippo Fossati, candidato al collegio Firenze 2 della Camera — Dai presupposti programmatici di sinistra non ci spostiamo, e non si sposterà nessuno di noi: in campagna elettorale, tutti quanti abbiamo guardato gli elettori negli occhi». Insomma, la promessa è che non ci saranno tradimenti, ritorni alla vecchia casa.In Toscana, LeU è all’opposizione del Pd a Palazzo Vecchio, ma è in maggioranza in Regione. E mentre i candidati in Parlamento tuonano contro la pista parallela di Peretola, il governatore Enrico Rossi, la difende a spada tratta. Fossati dribbla il problema: «Prima di mettersi d’accordo noi, si metta d’accordo il Pd con i suoi sindaci». E cosa fare per le amministrative 2018? Nessuno si sbilancia: «Il partito dovremo costruirlo dopo il 4 marzo», dice Petraglia. Ora l’attenzione è sulle politiche. E, oltre ai listini proporzionali, c’è qualche collegio uninominale che stuzzica le speranze dei Liberi e Uguali: a Firenze, dove Sandra Gesualdi sfida l’ex azzurro Gabriele Toccafondi, il Pd perderà più voti a sinistra o ne guadagnerà più a destra? E nel blindatissimo collegio di Sesto-Mugello potrebbe nascondersi una sorpresa? Se fosse un film: «Divorzio all’italiana» di Pietro Germi
Alleanze?
«Una volta in Parlamento saremo disponibili a parlare con il Pd o con una parte del Pd solo se ci sarà una svolta su alcuni temi»