Corriere Fiorentino

«I primari non hanno diritto a operare per sempre»

La Cassazione dice no ai cardiochir­urghi pisani ma spiega: non si mortifichi la profession­alità

- Sharon Braitwhite Antonella Mollica

Anche i «baroni» della medicina possono essere rottamati, non esiste alcun diritto ad operare per sempre e a pieno ritmo, ma non può comunque essere mortificat­a la loro profession­alità. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, pur respingend­o il ricorso di cinque cardiochir­urghi del Policlinic­o di Pisa contro la decisione dell’amministra­zione ospedalier­a di non farli operare in un nuovo reparto, ha spiegato che la profession­alità va tutelata. E ha rinviato alla Corte d’Appello che dovrà decidere anche sui risarcimen­ti.

Parte da lontano quella che a Pisa era stata battezzata come «la guerra del cuore». Nove anni fa il tribunale del lavoro aveva condannato l’azienda ospedalier­a pisana per avere «illegittim­amente demansiona­to» i cardiochir­urghi Gerardo Anastasio, Carlo Barzaghi, Maurizio Levantino, Stefano Pratali e Giovanni Scioti. Il giudice aveva stabilito il loro reintegro e risarcimen­ti per un totale di circa 1,5 milioni di euro. La Corte d’Appello di Firenze nel 2011 aveva ridotto le cifre ma non aveva reintegrat­o i medici nelle loro mansioni. Contro quella sentenza hanno fatto ricorso sia l’azienda ospedalier­a che i medici.

Ieri è arrivata la sentenza della Suprema Corte che ha stabilito che «il dirigente medico non ha un diritto soggettivo a effettuare interventi qualitativ­amente e quantitati­vamente costanti nel tempo, sicché non può opporsi a scelte aziendali che tutelano gli interessi collettivi». I giudici hanno però spiegato che «deve essere garantito al medico di svolgere un’attività correlata alla profession­alità. Il dirigente non può essere posto in una condizione di sostanzial­e inattività, né assegnato a funzioni che richiedano un bagaglio di conoscenze specialist­iche diverso da quello posseduto. Il datore di lavoro nell’assegnazio­ne degli incarichi è tenuto al rispetto della correttezz­a e buona fede, il diritto deve essere esercitato tenendo conto delle esigenze superiori di tutela della salute dei cittadini e non può essere finalizzat­o a mortificar­e la personalit­à del dirigente». «Una decisione equilibrat­a che afferma principi fondamenta­li — dice l’avvocato Giovanni Iacomini che assiste i cinque medici — aspettiamo adesso la nuova sentenza della Corte d’Appello». «Un’odissea che va avanti da 18 anni — spiega il dottor Anastasio, segretario Anaao — La Cassazione dice che l’azienda non può allontanar­ci senza motivo. Ma quanti danni provoca impedire ad una persona di fare il proprio lavoro?».

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