«I primari non hanno diritto a operare per sempre»
La Cassazione dice no ai cardiochirurghi pisani ma spiega: non si mortifichi la professionalità
Anche i «baroni» della medicina possono essere rottamati, non esiste alcun diritto ad operare per sempre e a pieno ritmo, ma non può comunque essere mortificata la loro professionalità. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, pur respingendo il ricorso di cinque cardiochirurghi del Policlinico di Pisa contro la decisione dell’amministrazione ospedaliera di non farli operare in un nuovo reparto, ha spiegato che la professionalità va tutelata. E ha rinviato alla Corte d’Appello che dovrà decidere anche sui risarcimenti.
Parte da lontano quella che a Pisa era stata battezzata come «la guerra del cuore». Nove anni fa il tribunale del lavoro aveva condannato l’azienda ospedaliera pisana per avere «illegittimamente demansionato» i cardiochirurghi Gerardo Anastasio, Carlo Barzaghi, Maurizio Levantino, Stefano Pratali e Giovanni Scioti. Il giudice aveva stabilito il loro reintegro e risarcimenti per un totale di circa 1,5 milioni di euro. La Corte d’Appello di Firenze nel 2011 aveva ridotto le cifre ma non aveva reintegrato i medici nelle loro mansioni. Contro quella sentenza hanno fatto ricorso sia l’azienda ospedaliera che i medici.
Ieri è arrivata la sentenza della Suprema Corte che ha stabilito che «il dirigente medico non ha un diritto soggettivo a effettuare interventi qualitativamente e quantitativamente costanti nel tempo, sicché non può opporsi a scelte aziendali che tutelano gli interessi collettivi». I giudici hanno però spiegato che «deve essere garantito al medico di svolgere un’attività correlata alla professionalità. Il dirigente non può essere posto in una condizione di sostanziale inattività, né assegnato a funzioni che richiedano un bagaglio di conoscenze specialistiche diverso da quello posseduto. Il datore di lavoro nell’assegnazione degli incarichi è tenuto al rispetto della correttezza e buona fede, il diritto deve essere esercitato tenendo conto delle esigenze superiori di tutela della salute dei cittadini e non può essere finalizzato a mortificare la personalità del dirigente». «Una decisione equilibrata che afferma principi fondamentali — dice l’avvocato Giovanni Iacomini che assiste i cinque medici — aspettiamo adesso la nuova sentenza della Corte d’Appello». «Un’odissea che va avanti da 18 anni — spiega il dottor Anastasio, segretario Anaao — La Cassazione dice che l’azienda non può allontanarci senza motivo. Ma quanti danni provoca impedire ad una persona di fare il proprio lavoro?».