Sironi, la satira di regime
Dal 10 marzo a Lucca le vignette dell’artista per il «Popolo d’Italia» di Mussolini Il curatore Benzi: «Un caso che siano esposte a ridosso delle elezioni. Ma quante analogie»
Credeva in un’arte calata nell’attualità, non prodotta per i salotti borghesi
C’è anche lo zampino della donna del Dux dietro le centinaia di illustrazioni di Mario Sironi uscite nel ventennio fascista sul Popolo d’Italia. Il giornale, fondato da Mussolini nel 1914 e chiuso nel ’44, (lo stesso Benito lo avrebbe diretto fino al ’22 quando, diventato capo del Governo, lo avrebbe affidato al fratello Arnaldo) rappresentò la voce dell’interventismo prima e del regime poi, e si sarebbe avvalso della collaborazione di Sironi grazie all’intercessione di Margherita Sarfatti.
Ce lo racconta Fabio Benzi che cura la mostra Mario Sironi e le illustrazioni per Il Popolo d’Italia 1921-1940 in programma al Lucca Center of Contemporary Art dal 10 marzo al 3 giugno. «Quando inizia a collaborare col giornale Sironi è appena arrivato a Milano e ha bisogno di lavorare: avere come sponsor Margherita Sarfatti, giornalista, critica d’arte, donna intelligente e amante di Mussolini gli apre le porte della redazione a cui avrebbe lavorato a fasi alterne per tutto il ventennio».
La mostra si inaugura a pochi giorni dal voto e a ridosso di una campagna elettorale durante la quale il vento di vecchi fascismi ha soffiato violento. E però, tiene a precisare Benzi «è un caso». Anche se è un caso che invoglia a visitare la mostra con maggiore convinzione. «Il progetto è nato nel 2015 — aggiunge — Fa però riflettere che la faziosità dei giornali e dei protagonisti politici di oggi somigli a quella di quegli anni, e che quanto oggi dicono i grillini sia quasi peggio di quel che asseriva Sironi. Ciò premesso queste corrispondenze non dipendono da chi ha curato il progetto né da chi ha collaborato al catalogo (Palombi edizioni) ricostruendo, illustrazione per illustrazione, il fatto di attualità a cui ciascuna si ispira: Monica Cioli (docente di Storia della Politica Europea internazionale ndr) e Giuseppe Vacca, anche lui storico e presidente della Fondazione Gramsci». In questo immenso lavoro (Sironi firmò 344 vignette per Il Popolo d’Italia, ma qui ne vedremo 100) troveremo il Partito socialista — il 18 giugno del ’22 — rappresentato sul letto di morte: a corredo dell’immagine si legge Il Pus (partito socialista unitario) muore in odore di santità. Sempre Sironi firma la vignetta del 16 novembre 22, in cui in un Parlamento gremito Mussolini presenta il suo primo Governo. Il 2 febbraio del ’23 ecco una perfetta opera di propaganda. Su una scala si avvicendano un portatore di franchi francesi e uno di lire. Chi sale è la lira, grazie alla politica del fascio, chi scende è il franco, la moneta del paese che ha occupato la Ruhr in seguito ai mancati accordi alla Conferenza di Parigi sulle riparazioni tedesche. Il 23 Maggio del ’23 la pletora dei giornali antifascisti ha il volto e il crine della Medusa caravaggesca. Non mancano le critiche all’imperialismo inglese e al Partito Popolare di don Sturzo che il primo marzo del ‘24 viene redarguito da un Cristo in croce che gli dice «smettila di parlare a nome mio». Contro il comunismo memorabile è la vignetta in cui una figura mortifera dotata di falce è accompagnata da questo commento «Il Partito Comunista italiano è in grado di risolvere i/ problemi della nostra vita come è stato fatto in / Russia./In un mare di sangue». C’è spazio anche per vari attacchi alla linea politica del Corriere della Sera, come accade nel luglio ‘24, all’indomani del delitto Matteotti quando sul Popolo d’Italia appare l’immagine di un abbonato al Corriere che si addormenta mentre sfoglia il suo giornale. Non si contano le illustrazioni contro gli aventinisti in seguito al delitto Matteotti, quelle apologetiche della figura di Mussolini e quelle denigratorie della politica estera di Francia e Inghilterra. Uno stile raffinatissimo per una coerenza esemplare. D’altro canto che Sironi fosse un fascista convinto non è un mistero — dopo il crollo del regime si sarebbe chiuso in un contegnoso silenzio. Che il lavoro al giornale, poi, avesse galvanizzato il suo ego d’artista è cosa certa. Dice ancora Benzi: «Essere in contatto con l’attualità grazie alle illustrazioni era essenziale per un futurista. Sironi credeva che la sua arte non fosse destinata ad abbellire con un quadretto un salotto borghese ma che dovesse essere parte di un contesto dinamico della società».