Livorno, prima notte di divieti (non rispettati)
Lo stop all’alcol deciso da Nogarin in tre piazze non ferma la vendita dei minimarket
Le 21 sono passate da tre ore ma in Piazza della Repubblica l’alcol si vende lo stesso. Senza problemi, senza sotterfugi. I proprietari dei minimarket che si affacciano sulla piazza forse non sanno nemmeno che il divieto di vendita di alcol da asporto è già entrato in vigore. Lo ha deciso venerdì mattina la giunta Nogarin per cercare di fermare la malamovida che negli ultimi mesi ha caratterizzato il quartiere GaribaldiRepubblica.
Ma nonostante questo, nella notte tra venerdì e ieri nella zona non si vede nessuno a controllare se i commercianti rispettano il divieto. All’angolo con via della Pina d’Oro, teatro di pestaggi molto frequenti, c’è l’Asian super mini market. Insegne giallo fosforescenti, un arredamento accogliente. Al frigorifero degli alcolici si può leggere il listino prezzi: tutte le birre 1,20 euro, quelle italiane 1,50 euro. «Due Tennent’s per favore»: quattro euro. Nulla è cambiato.
A pochi metri di distanza si incontra un altro minimarket che dà sulla piazza, le vetrine sono illuminate da luci violacee: in esposizione non ci sono biscotti, affettati o frutta e verdura ma quattro scaffali di superalcolici. Anche qui l’alcol si può comprare e portar via senza correre alcun rischio: usciamo con una bottiglia di Merlot, una Moretti e una Heineken. Il commerciante, che parla rigorosamente in arabo, non fa una piega. Ma nel quartiere dove una volta nascevano le botteghe artigiane, a dominare la scena non è l’alcol ma la droga. Alle una di notte Piazza Garibaldi è vuota, quasi spettrale. Sugli scalini del palchetto in mezzo alla piazza c’è una bottiglia vuota di vodka alla fragola, un paio di fazzoletti sporchi e una siringa usata. Basta mettersi a sedere su una panchina ed aspettare: dopo dieci minuti, sulla stradina anteriore alla piazza si incrociano due nordafricani. Sembra che non si conoscano, il movimento della mano è impercettibile, si passano qualcosa. «Abbiamo fatto l’abitudine a questo degrado — spiega Giacomo, un giovane residente del quartiere — l’abbiamo interiorizzato. Prima eravamo in casa e mia sorella doveva uscire con la bambina piccola. Siamo scesi tutti e tre per scortarla alla macchina. Questo è un quartiere che non esiste più».