Un leader con il sorriso che aveva scelto Firenze
La casa in centro, le pappe per la figlia, i consigli ai più giovani
Firenze per lui era stata prima di tutto una scelta di vita. La città dove restare a lungo, «che — come ripeteva spesso — sarà per sempre la città natale di mia figlia Vittoria», il luogo giusto dove trovare finalmente l’equilibrio fra le aspirazioni di carriera e la passione per il calcio, da vivere magari con meno pressioni di Roma dove non era riuscito a trovare la propria dimensione.
Così quando nel 2015 la Fiorentina bussò alla porta del Cagliari per cercare di sostituire Savic ceduto al Manchester City, rispondere presente fu la cosa più naturale del mondo. «Il primo pensiero va alla sua compagna e alla famiglia. Era un ragazzo gentile, un esempio di sportività per i suoi compagni. Non riesco ad immaginarmi il prosieguo del campionato per la Fiorentina e quello che potrà dire Pioli alla squadra. Lo portai a Firenze, voleva un ambiente giusto per la sua famiglia e per questo rifiutò Napoli», ha ricordato ieri l’ex direttore sportivo viola Daniele Pradè.
Sono passati quasi tre anni da quell’estate, e nel frattempo Davide Astori è diventato capitano della Fiorentina. Ma anche senza la fascia al braccio, quel ragazzone alto un metro e novanta si era fatto notare dentro lo spogliatoio per la sua capacità di unire la squadra e rassicurare i giovani, soprattutto nelle ultime due stagioni. Già, perché Astori si era preso sulle spalle il peso della ricostruzione viola, affiancando Pioli nella gestione dello spogliatoio in una stagione così difficile.
Riservato, faccia pulita, nessun tatuaggio da ostentare e il numero 13 sulle spalle fin dai tempi delle giovanili, scelto per omaggiare il suo idolo da ragazzino, Alessandro Nesta. A Firenze aveva preso casa accanto al Ponte Vecchio dove, tra un allenamento e l’altro, lo si poteva trovare a passeggiare insieme alla compagna Francesca e alla figlia di due anni. Non la sera però, perché Astori al massimo si concedeva qualche cena leggera nei ristoranti vicini, come in piazza Santa Maria in Sopr’Arno, oppure pranzava con i compagni di squadra. «Lo ricordo per la sua gentilezza, la sua educazione. Ci mancherà… Ma ora penso alla sua piccola bimba…», raccontano nei locali mentre al supermercato sotto casa ricordano «la sua grande riservatezza e quel cestino alla cassa sempre pieno di pappine per dar da mangiare alla piccolina».
Ma era al centro sportivo di Campo di Marte che Astori viveva la maggior parte della giornata. Per lavoro, certo, ma anche per passione perché amava il pallone ed era affascinato dall’evoluzione che negli ultimi anni ha cambiato la vita (in campo e fuori) degli stessi calciatori. «Tutto questo — spiegava solo un anno fa — mi piace. Si cura di più il dettaglio, sia a livello statistico che atletico. Ci alleniamo tutti i giorni con il gps, si hanno dati molto più accurati su tutta la squadra. Questo ci permette di analizzare meglio il nostro lavoro e le partite, senza farsi condizionare troppo dai giudizi esterni». E poi ancora: «Il calcio si sta evolvendo, ai tempi di Maradona ciò che contava per giocare a pallone era il talento e la tecnica. Ora se non si ha la giusta preparazione fisica e tattica non si va da nessuna parte».
Anche per questo, la scomparsa di Astori, ha lasciato ancora più impietriti tutti all’interno della Fiorentina, in particolar modo i medici e lo staff tecnico. Perché il capitano viola era anche uno degli elementi in rosa dal fisico più allenato e prestante. Un giocatore cresciuto in un calcio diverso, «antico» come lo ha definito ieri Gigi Buffon, che
Qui sentiva di aver trovato la sua dimensione. Per giocare in maglia viola aveva rinunciato a vestire quella del Napoli