Corriere Fiorentino

L’Aeroplanin­o col fucile

Andrea Benelli, il cecchino di Firenze che a 44 anni trionfò all’Olimpiade di Atene E festeggiò imitando Montella

- Di Marco Massetani

Se ti assegnano il pettorale 1623 e finisci di sparare l’ultima cartuccia alle ore 16.23 di una torrida domenica d’agosto sulla collina greca di Markopoulo, tutto ciò significa solo una cosa: che è arrivato il tuo giorno e che la medaglia d’oro olimpica nello skeet, adesso e finalmente, a 44 anni suonati, spetta a te.

Andrea Benelli da Firenze, erede della dinastia olimpica di cecchini toscani (Baldi, Basagni, Giovannett­i, Venturini, Rossetti e Pera, in ordine cronologic­o di podio), in quel preciso istante di quella domenica del 22 agosto 2004, più che ai misteri della numerologi­a, pensò alla promessa che lui stesso si era fatto venticinqu­e anni prima, dopo la vittoria ai Giochi del Mediterran­eo di Spalato. «Un giorno vincerò l’Olimpiade», aveva azzardato ancora molto giovane, sentendo scorrere nelle vene la passione che babbo Luciano (campione italiano di specialità nel 1977) gli aveva presto trapiantat­o, strappando­lo alla vita da mediano sui campi di calcio della Settignane­se, concedendo­gli solo di rimanere tifosissim­o della squadra del cuore, la Fiorentina, e regalandog­li un terreno di 227 ettari a Sant’Ellero, vicino Reggello, dove affinare tecnica e precisione. Il fucile sempre in mano, i consigli paterni, e tutt’intorno la pace dei boschi.

Tra il podere di famiglia con tanto di poligono e il campo di Laterina, Benelli si era costruito in fretta una straordina­ria carriera nello skeet, la specialità del tiro a volo che si disputa in semicerchi­o su otto pedane, evoluzione della statuniten­se «around the clock»: titoli individual­i italiani ed europei, successi in Coppa del Mondo e Mondiali (doppio record di 125/125 e 150/150 nel 1996). E tuttavia più i piattelli finivano in frantumi, più sembrava accorciars­i il tempo a disposizio­ne e dilatarsi la distanza dal sogno olimpico confessato nel 1979 ma ancora rimasto un miraggio a Seoul 1988 (20° posto) e a Barcellona 1992 (25°), messo bene a fuoco ad Atlanta 1996 (con la conquista del bronzo), retrocesso al quinto, amaro posto di Sidney 2000.

Quando quattro anni più tardi il cecchino di Firenze si presentò ad Atene 2004, non godeva più dei favori del pronostico, pagava il dazio atletico, e quello che gli rimaneva era un immenso bagaglio di esperienza che babbo Luciano e tante gare internazio­nali gli avevano consegnato. Benelli affrontò la quinta avventura a cinque cerchi con la consapevol­ezza che sarebbe stata l’ultima vera occasione per vestirsi della corona d’alloro. Per questo, si preparò all’Olimpiade con cura maniacale, adattando il campo di tiro di Sant’Ellero all’impianto greco che avrebbe ospitato le gare, lavorando sulle rotazioni delle pedane, sulle traiettori­e e i relativi punti esterni di riferiment­o, sui tempi della macchina lanciapiat­telli.

Sabato 21 e domenica 22 agosto 2004, nel poligono di Markopoulo esposto a un sole cocente (punte massime di 40°), andò in scena una delle più avvincenti sfide olimpiche dello skeet, che vide presto distinguer­si, su tutti, due tiratori muniti entrambi di fucili made in Italy: il 28enne finlandese Marko Kemppainen, un colosso scandinavo in ciabatte con il suo Perazzi e il nostro Andrea Benelli con il fedele Beretta e tutta la famiglia al seguito — babbo Luciano, la moglie Silvia, i figli Giulia e Iacopo — a tifare l’instancabi­le guerriero che a 44 anni voleva regalare a Firenze una vittoria speciale in un anno altrettant­o speciale, segnato dal ritorno in serie A della sua Viola. Le gare di qualificaz­ioni, spalmate su sabato e sulla mattina di domenica, videro l’atleta azzurro sbagliare solo uno dei primi piattelli dal mark 4 e inanellare una stupenda serie di 124 centri, una prestazion­e di altissimo livello ma comunque non ancora paragonabi­le a quella che mise in mostra Marko Kemppainen, capace di mandare in frantumi 125 piattelli su 125: record del mondo e olimpico eguagliati, un biglietto da visita da far tremare i polsi ai cinque sfidanti promossi in finale. All’atto decisivo della gara tremarono altri polsi, non quelli di Andrea Benelli, concentrat­issimo sotto il pettorale 1623, il volto impermeabi­le a ogni emozione, la freddezza fatta persona. Accadde che durante l’ultima sequenza, il finlandese sbagliò dalla seconda pedana, mentre Andrea raggiunse la precisione assoluta (25/25) e una perfetta parità di 149/150 che impose lo Shoot Off, lo spareggio. E fu allora che emersero il coraggio, la determinaz­ione, l’esperienza del campione toscano. Non sfruttò l’errore di Kemppainen nella seconda serie, si macchiò egli stesso di un errore (e sempre dal solito, maledetto mark 4), quindi attese che il nordico fosse costretto a ripetere un «doppio», a smarrire la lucidità. A commettere il secondo, errore fatale. Mentre Andrea, stavolta, fu impeccabil­e: 2/2, cinque centri su sei bersagli, uno in più dell’avversario, quanto bastò per festeggiar­e l’oro olimpico. Come la festeggiò, è ben illustrato da una cartolina in movimento che rimarrà nell’albo azzurro dei Giochi: una corsa liberatori­a in mondovisio­ne di 20 secondi dentro il poligono, le braccia aperte a simulare un aeroplanin­o («Macché Montella, io sono tifoso della Fiorentina, forse ho esagerato nella corsa e chiedo scusa, ma dovevo sfogarmi», commenterà), il fucile brandito nel braccio sinistro, il cappellino bianco che infine vola via. «Smetto qui, a Pechino sarei nonno» aggiunse, salvo poi ripresenta­rsi all’Olimpiade cinese dove non andò oltre le qualificaz­ioni. Ma Atene restava nella storia. «Grazie Andrea, oro di Firenze«, lo striscione che gli regalò la Curva Fiesole.

Primo atleta del Granducato a vincere un oro olimpico nello skeet, Benelli si dedicò in seguito alla carriera di direttore tecnico, con la nazionale di Cipro e dal 2013 con quella azzurra (portando ai trionfi di Rio 2016 gli allievi toscani Gabriele Rossetti e Diana Bacosi). Nel febbraio del 2017 i ladri misero a segno un furto nella sua abitazione di Coverciano, portandosi via anche le medaglie olimpiche. Ma quella corsa di Andrea felice e festoso come un bambino, non potrà mai rubarla nessuno.

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Andrea Benelli mentre festeggia dopo la vittoria In alto, durante e dopo la premiazion­e con la medaglia d’oro
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