FIN DOVE È FOLLIA? UN CONFINE SOTTILE
Caro direttore, benché mi occupi da alcuni decenni di pazienti psichiatrici autori di reato, mi sono sempre astenuto dal fornire giudizi clinici su persone delle quali non mi sono occupato direttamente dal punto di vista clinico. Non lo farò quindi nemmeno stavolta, nella vicenda di Roberto Pirrone, il sessantaquattrenne che pochi giorni fa ha ammesso di avere ucciso un senegalese su ponte Vespucci, a Firenze. Forse sulla salute mentale dell’omicida si pronunceranno i periti. Qualcosa potrebbero anche dire gli operatori della salute mentale che lavorano in carcere, i quali certamente l’omicida, l’avranno visitato. La comunità senegalese ha subito tuonato contro il razzismo e il fascismo. Ci sono stati anche taluni che hanno colto al volo l’occasione pretestuosa per manifestare tutto l’odio e l’aggressività nei confronti delle istituzioni. Partiamo allora da questa banale considerazione: ci sono taluni ai quali basta il minimo pretesto perché si sentano almeno parzialmente giustificati nell’assumere atteggiamenti aggressivi, non importa di quale entità. Benché, secondo la legge, gli stati emotivi e passionali non escludano né diminuiscano l’imputabilità (art. 90 cp), tuttavia ognuno di noi è indotto a fornire almeno una parziale giustificazione (come peraltro stabilito dalla legge stessa: art. 62, circostanze attenuanti comuni) per i gesti compiuti in «stato di ira determinato da un fatto ingiusto altrui». L’aggressività è sempre presente all’interno di ciascuno di noi. Tanto più l’aggressività è intensa, tanto più preme, quanto più l’equilibrio psichico di una persona è instabile. Vorrei non essere frainteso. Ci sono persone che soffrono di gravi turbe psichiche e che hanno livelli di aggressività molto bassi. Ci sono persone che non soffrono (almeno apparentemente) di turbe psichiche gravi e che hanno livelli di aggressività molto alti. Ci sono persone che, qualunque sia il loro livello abituale di aggressività, vengono destabilizzate dal sopravvenire di uno stato psichico alterato, ciò che rende assai probabile che questa aggressività trovi una espressione in gesti clamorosi e in delitti. Roberto Pirrone ha ucciso un senegalese sparandogli. Il giorno prima, a Pontedera, un anziano di 97 anni ha ucciso la moglie malata e si è quindi suicidato. Forse la vita e le sue condizioni esistenziali, per quell’anziano, erano diventate insopportabili. Forse tutto questo ha reso insopportabile il dolore psichico che provava. La sua difficilissima condizione esistenziale sembra renderci lievemente più comprensibili i suoi gesti delittuosi. Dello stato di mente di Pirrone non sappiamo granché. Sembrano saperne di più, però, i rappresentanti della Comunità senegalese, che hanno subito affermato che egli non è «matto» e che è invece «razzista», come se le due condizioni, fra l’altro, fossero incompatibili. Guardiamo però cosa ci racconta la doxa (ciò che sappiamo, ndr) in proposito. Pirrone, appassionato di tiro sportivo e proprietario di diverse armi, pare avesse contratto un debito che aveva destato notevoli preoccupazioni nella moglie, creando una forte tensione coniugale. Poi la «decisione» di Pirrone, secondo quanto lui stesso ha dichiarato agli inquirenti. «Lunedì mattina ho deciso, ho scritto un biglietto, l’ho lasciato a casa. Avevo deciso di suicidar-
Incertezze Per qualcuno il killer del senegalese è solo razzista Ma ciò non esclude la malattia mentale
mi. Sono uscito con la pistola. Quando sono arrivato sul ponte Vespucci, ho gettato i miei due telefonini in Arno. Ho provato ad ammazzarmi, ma non ce l’ho fatta. (...) Mi sono detto: allora voglio il carcere». Può darsi — non lo si può e non lo si deve escludere — che l’orientamento culturale e «politico» (che io non conosco) di Pirrone abbia influito, seppure a un livello inconscio, sulla «scelta» della vittima, di colore. Mi chiedo, però, perché non soffermarsi almeno per un attimo sulla possibilità che l’omicida si trovasse anche in una fase di gravissima difficoltà psichica. Guardiamo ai precedenti e manteniamoci all’esame dei dati forniti dalla doxa. Nel dicembre 2011 Gianluca Casseri, un «solitario e ombroso» simpatizzante di CasaPound, uccide due senegalesi e ne ferisce altri. Accerchiato, si suicida. Chiara Saraceno, sociologa che di follia dice di intendersene, immediatamente afferma che «non è follia, è razzismo», anche qui come se le due cose fossero incompatibili. La doxa, in ogni modo, ci mette a disposizione altre informazioni. L’amico Enrico Rulli, infatti, dichiara al Corriere Fiorentino che «[…] da un anno e mezzo l’assassino faceva discorsi strani si era fissato con il Fascismo e il Ventennio, non aveva più il senso della realtà. […]». Rulli pensa e ripensa a quando Casseri si lamentava del medico curante: «Mi diceva: io sto male e lui dice che va tutto bene, ma non mi guarda nemmeno». Pare, dunque, che Casseri fosse malato e che fosse in cura. Il 3 febbraio 2018 Luca Traini, già candidato nel 2017 alle comunali di Corridonia con la Lega, «vicino a Forza Nuova e a CasaPound», spara contro taluni immigrati a Macerata. Un amico di Traini, ci informa che quest’ultimo «[…] era andato in cura da uno psichiatra, che a quanto diceva lo aveva giudicato “borderline”. Lui — continua Clerico — quasi era orgoglioso di questa definizione, a dimostrazione di quanto fosse ignorante e scemo […]». Nikolas Cruz è il diciannovenne che lo scorso
14 febbraio a Parkland, in Florida, entrato nella scuola dalla quale era stato espulso, ha sparato su compagni e insegnanti, uccidendone 17 e ferendone altrettanti. Queste sono le informazioni che, su di lui, ben presto Wikipedia è stata in grado di fornirci. Si trattava,
intanto, di un ragazzo adottato. Il padre adottivo era morto da anni, mentre le esequie della madre adottiva avevano avuto luogo solo nel novembre 2017. I pregressi e macroscopici segnali del profondo malessere psichico di Cruz sono sotto gli occhi di tutti. Per i gravi problemi comportamentali manifestati nell’adolescenza era stato inserito «in un programma di aiuto agli studenti in alternativa all’invio nel sistema correzionale (...)». Dalla Stoneman Douglas School (quella della strage), ne era stato espulso nel 2017 per motivi disciplinari. Aveva già dichiarato sul web la sua intenzione di diventare un «professional school shooter». In precedenza aveva già ricevuto cure psichiatriche, «ma non nell’anno precedente alla sparatoria». La polizia ha dichiarato che aveva idee «estremiste». Per fortuna, però, Cruz non ha fatto come Anders Behring Breivik, l’uomo che, il 22 luglio 2011, a Oslo e Utoya, ha ucciso 77 persone e ne ha ferite molte altre in nome della difesa della religione e della razza. Poi, nonostante i suoi palesi deliri, lo si è giudicato come «sano di mente». I disturbi mentali di Nikolas Cruz nessuno li può ignorare, nemmeno il Presidente Trump: «Sono così tanti i segni che colui che ha sparato in Florida aveva dei disturbi mentali (...), i vicini e i compagni di classe sapevano che egli era un grosso problema. Casi come questi devono sempre essere segnalati alle autorità». E ha aggiunto, Trump, di avere pianificato di lavorare con i leader statali e locali per «affrontare l’arduo problema della salute mentale». Io non so se Pirrone soffra di gravi disturbi mentali e se abbia ucciso in preda a quei disturbi. So per certo che una seria politica sanitaria, nel campo dei disturbi mentali, potrebbe essere di grande utilità nel prevenire crimini, persino i più efferati e apparentemente imprevedibili. Sempre che, come è ovvio, i programmi di salute mentale, all’interno di una benefica e necessaria interdisciplinarità/ interisti tuzi on alità, accettino di farsi carico di quella parte di controllo sociale che loro compete quando la follia diventa, come accade non di rado, fonte di pericolo.
Prevenzione Non so se Pirrone ne soffra, ma so che una seria politica sui disturbi mentali sarebbe utile