UNA CORSA IN SALITA PER RITROVARSI DALLA PARTE DEI GIUSTI
Via Trento è bella. Ma quanto è più bella se la scopri per caso? Se ti lanci, in bici, per quella salita, invece di continuare per la più piana via Trieste, seguendo l’istinto infantile per la scalata… È allora che puoi scoprirla al massimo del suo fascino, sempre che ti resti il fiato per farlo. La salita è infatti insidiosa: vera e propria «pettata», illude con una pendenza che sembra più netta solo nella prima metà, per rivelarsi poi più lunga e ripida del previsto; costringe a salire in piedi sui pedali, a cambiar marcia e magari pure a rimpiangere di non aver smesso di fumare cinque o sei anni prima. Tanto impegnativo è il primo tratto che le belle ville che vi si affacciano coi loro parchi, neanche si notano; per fortuna, la strada conserva il suo tesoro più prezioso per il momento in cui, vinta l’altura, ci si può fermare a tirare il fiato senza la vergogna della sconfitta. In cima, proprio quando la pendenza si inverte per poi correre vertiginosa verso via Bolognese e la sua ulteriore discesa nel ventre della città, ecco un cancello, oltre il quale una corona di pini dall’aria art nouveau — ricordano, nell’alta disposizione dei rami, la calligrafia sulle stazioni della metro parigina — annuncia inequivocabile qualcosa di speciale. Vale allora la pena scendere, e trovare non un semplice giardino, ma gli Orti di Parnaso, parte superiore e meno praticata dell’Orticultura: ecco il tepidario del Roster, scintillante di bianco dall’alto, ed ecco il drago, o meglio il serpentone dato che si ispira al mito di Pitone, figlio di Gea, che con le sue spire poteva avvolgere sette volte la città di Delfi e il cui alito era talmente letale da far seccare le piante su cui soffiava, effetto che qua pare decisamente invertito (ma del resto questo colorato simulacro non arriva ad avvolgere Firenze una sola volta), vista la prosperità della vegetazione. Da 15 anni gli Orti del Parnaso sono anche sede del Giardino dei Giusti, luogo dedicato alla commemorazione di chi ha salvato altri esseri umani da persecuzioni e genocidi, ed ecco che l’arco simbolico si chiude, trovandosi qui anche la commemorazione di Gino Bartali, «Giusto fra le nazioni» per il suo salvataggio di ottocento ebrei dai nazisti, grazie ad alcuni documenti nascosti nel tubo della bici, un Bartali col quale il ciclista giunto fin qui, e ancora col fiatone dopo la pettata, troverà immediata e commovente immedesimazione.