Corriere Fiorentino

Le impression­i del tifoso (i poeti, il senso della fine)

DIARIO DI UN TIFOSO DA DOMENICA A DOMENICA

- Di Claudio Carabba

Da quando lui se ne è andato, il tempo si è fermato: sembrava non dovesse passare più. La morte di Davide Astori, il capitano viola, è piombata improvvisa su Firenze (e poi, pian piano, su tutta l’Italia) la mattina di domenica 4 marzo, giorno votato alle elezioni nazionali. Ognuno l’ha saputo per caso, in varie faccende affaccenda­to. Io per esempio, ero appena uscito dal seggio dove avevo votato, e mi ero fermato in un bar di via Pisana. Mi ha informato Gabriella, una vivace cassiera, molto appassiona­ta della Fiorentina. Ha letto un messaggio sul telefonino, ha sussultato incredula, e mi ha subito informato, sgomenta : «Dicono che è morto Astori. Speriamo che sia una falsa notizia, ne girano parecchie in rete». E invece l’illusione che fosse un inganno è durata pochi minuti. Il giovane Davide se ne era andato nel sonno tradito dai battiti sempre più lenti del cuore.

È cominciata così la settimana del lutto. L’ingresso delle tribune allo stadio si è presto trasformat­o in una sorta di muro del pianto, fatto di sciarpe viola e di fiori colorati. Senza incertezze, spinta dai tanti giocatori che conoscevan­o Astori, si è fermata tutta la serie A , segnale chiaro ,netto, e rarissimo. È iniziata una settimana oscura per la città di Firenze, intristita e sorpresa anche da un altro fatto tragico, l’assassinio di Idy, ambulante senegalese, freddato senza pietà e senza movente da un uomo bianco armato sul Ponte Vespucci.

I due eventi non hanno ovviamente rapporto fra loro, ma entrambi hanno spinto la nostra comunità al pianto e alla rabbia. In compenso sono arrivati messaggi di solidariet­à da tutta Italia e anche dal resto del mondo. Ai funerali solenni nella gremitissi­ma piazza Santa Croce sono venute molte delegazion­i delle squadre rivali, a cominciare dall’arcinemica Juventus, guidata dal comandante Buffon e da un commosso Chiellini, per una volta senza la grinta del superstopp­er picchiator­e. Tutti sono stati caldamente applauditi, come se la conoscenza ancora viva del dolore, rendesse tutti più umani, meno selvaggi.

Domani sarà un altro giorno. Probabilme­nte sul campo i prepotenti guerrieri bianconeri torneranno ad essere clamorosam­ente fischiati, ad ogni mossa. Ma forse questo momento di pausa dal clamore del tifo non è stato vano, qualcosa resterà nella mente e nell’anima. Messaggi belli e commoventi sono venuti da tantissimi giocatori, dai compagni di squadra di oggi e di ieri, a conferma che,al di là del campo da gioco, questo ragazzo intorno ai trent’anni quasi incredibil­mente scomparso, doveva essere un uomo eccezional­e, di profonda e buona sensibilit­à. Fra i volti stravolti visti in Santa Croce mi ha ad esempio colpito quello del sempre furente De Rossi, centrocamp­ista guida della Roma e della Nazionale. Il fatto che nella capitale Astori non si fosse calcistica­mente ambientato (per fortuna della Fiorentina che prese l’occasione al volo, spinto anche dall’entusiasmo per Firenze del giocatore) è solo un dettaglio senza importanza, l’amicizia nata con gli allora compagni di squadra, era ed è restata fortissima.

Così fra pianti e rimpianti, siamo arrivati a ieri mattina, domenica 11, di nuovo in campo, a un ‘ora insolita, alle 12 e mezzo, separati dalle altre gare. Non era facile giocare con le lacrime agli occhi.

Prima della partita il prologo è stato solenne. Una canzone di Jovanotti, Terra degli uomini, sparata in video nell’attesa. Non era stata scelta a caso, ma per alcuni versi sospesi fra la malinconia e una fragile speranza: «Sono sempre i migliori che partono/ ci lasciano senza istruzioni…. E sotto i miei piedi c’è un baratro/ e sulla mia testa c’ho gli angeli/ e qui siamo proprio nel mezzo nella terra degli uomini…. Dove suona la musica / nella terra degli uomini / sino all’ultimo attimo».

Poi quando arbitri e giocatori sono scesi in campo, c’è stato un minuto di silenzio, lungo e totale, come i ricordi che si rincorreva­no. Infine si è cominciato a giocare, non senza qualche scatto, pungente ma vano, del verde Simeone, Cholito impaziente. Ma tutti aspettavan­o il minuto numero 13, il numero della maglia dal capitano perduto, per una nuova, più solenne celebrazio­ne. La curva Fiesole riempita di striscioni e sciarpe e un volo di palloncini colorati spediti alti verso il cielo. Subito dopo, spinti dall’amore nostalgico per il capitano, i viola hanno giocato con una buona spinta. Ed è arrivato il gol, per un gioco del destino segnato di testa su corner (alla Astori) dalla sua prima riserva, il brasiliano Vitor Hugo.

Nel secondo tempo , la Fiorentina è sembrata esausta, come se le forze fisiche e nervose si fossero bruciate in una gran fiammata. Nonostante una traversa e qualche occasione sprecata dai viola, l’onesto Benevento, ultimo in classifica con fiera dignità, poteva anche pareggiare. Ma francament­e io pensavo ad altro. Mi tornavano in mente altre sciagure che hanno travolto (ma più lentamente rispetto ad Astori) alcuni nostri campioni. A cominciare da quelli del primo scudetto (ho l’età per ricordare bene): il favoloso Montuori ad esempio che si vide la carriera troncata a meno di 30 anni, preso in pieno viso da una pallonata e se ne andò, povero, da molti dimenticat­o, non aiutato da nessuno. O Armando Segato, mediano impeccabil­e, bruciato a 40 annida un tumore cattivo. Mi sono tornati in mente i nomi dei calciatori anni settanta, morti troppo presto, non senza suscitare brutti sospetti. O per venire a giorni più recenti, la sorte atroce dell’agile Borgonovo, consumato dalla Sla, e portato un’ ultima volta in lettiga sul campo, tenuto per mano da Roberto Baggio, un altro campione dal cuore buono.

Non ricordo però niente di simile, al silenzioso e fulminante addio di Davide, il capitano che amava Fiorenze e la Fiorentina, e qua voleva restare insieme alla sua compagna e alla figlia bambina. Certo, anche giocatori di altre squadre, dal Perugia al Livorno, sono morti folgorati sotto sforzo, mentre giocavano. Ma questa fine, a tradimento, in un «letto straniero», a Udine mentre dormiva dopo una tranquilla serata di ritiro, viene voglia di negarla come non vera, come impossibil­e. Mi viene la tentazione di riprendere in mano un libro e consolarmi col vecchio Philiph Marlowe, quando alla fine di un’indagine pericolosa, mormora quasi da solo «Arrivederc­i amico, non vi dico addio. Vi dissi addio in un momento di tristezza e di solitudine quando sembrava definitivo». Perché secondo i poeti ci sono momenti in cui la parola fine proprio non si concepisce.

Questo momento di pausa dal clamore del tifo forse non è stato vano, qualcosa resterà nella mente e nell’anima

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 ??  ?? La fase del riscaldame­nto con le maglie numero 13. Sopra uno degli striscioni apparsi ieri in curva Fiesole
La fase del riscaldame­nto con le maglie numero 13. Sopra uno degli striscioni apparsi ieri in curva Fiesole

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